Esteri
Alaska: il palcoscenico della Speranza per la Pace, con Putin e Trump che preparano il terreno alle concessioni
In Alaska, su un territorio storicamente conteso, Trump e Putin cercano una via d’uscita al conflitto ucraino. Tra pressioni sugli alleati e una nuova narrazione mediatica in Russia, si profila la possibilità di significative concessioni territoriali per raggiungere la pace.

L’Alaska si prepara a ospitare un vertice cruciale tra il Presidente americano Donald Trump e il Presidente russo Vladimir Putin. Questo incontro, che si terrà nella base militare di Elmendorf-Richardson nei pressi di Anchorage, non è casuale. Esso simboleggia un momento di svolta potenziale, in cui entrambi i leader sembrano intenzionati a esplorare percorsi di distensione che richiederanno significative concessioni, sia ai propri alleati che alle rispettive opinioni pubbliche. Nonostante le posizioni talvolta “guerrafondaie” di alcuni leader europei e ucraini, l’obiettivo dichiarato è quello di arrivare a una tregua e, idealmente, a un accordo di pace che ponga fine al conflitto in Ucraina.
La strategia di Putin: smorzare i toni e preparare il pubblico
Mosca sta attivamente preparando il terreno per un possibile accordo in Alaska, con un evidente cambio di propaganda da parte dei media russi. Negli ultimi giorni, gli Stati Uniti non sono più dipinti come gli acerrimi nemici della Guerra Fredda, ma come alleati storici durante la Seconda Guerra Mondiale. La televisione pubblica russa, in particolare il canale Otr, ha mandato in onda per due serate consecutive il documentario “Unknown War”, concentrandosi sull’episodio intitolato “Gli alleati”. Questo documentario narra le operazioni sovietiche contro la Germania nazista, mostrando la collaborazione tra soldati sovietici, britannici e americani, e sottolineando come i loro leader – Roosevelt, Stalin e Churchill – lavorassero insieme per porre fine alla guerra e garantire la pace futura. È significativo che la puntata abbia mostrato anche la spedizione di aerei statunitensi a supporto dei soldati sovietici, partiti proprio dall’Alaska, il luogo del summit.
Questa nuova direzione mediatica, uno “spin opposto” rispetto al passato, è chiaramente volta a influenzare l’opinione pubblica russa prima dell’incontro.
Un segnale ancora più marcato di questa preparazione è emerso domenica scorsa nel programma politico televisivo più seguito, “Vesti Nedeli“, dove si è parlato della “fine dell’Operazione militare” russa sul territorio ucraino. Questa è una questione che era stata finora “tabù” dall’inizio del conflitto. A
nche sul quotidiano russo Izvestia, sono stati confermati toni di distensione verso Washington, con Vladimir Dzhabarov, primo vicepresidente della Commissione affari internazionali, che ha lodato l’incontro tra i due presidenti come “una buona cosa” che indica un “atteggiamento positivo”.
Sebbene Mosca ribadisca che le sue richieste per la pace rimangano invariate, in particolare riguardo all’espansione della NATO e allo sviluppo del territorio ucraino da parte dell’alleanza, l’apertura a questo dialogo è vista come essenziale, dato che le due potenze determinano “l’intero ordine mondiale”. La velocità con cui Putin ha accettato di recarsi in terra americana per negoziare suggerisce anche un incentivo economico, probabilmente legato alla volontà di evitare i “dazi mostruosi” che Trump potrebbe imporre indirettamente ai “Clienti” del petrolio russo. Tutto ciò indica una chiara volontà di preparare la nazione russa a un esito negoziale che potrebbe comportare compromessi.
Le manovre di Trump: pressione sugli Alleati e minacce a Putin
Donald Trump ha intrapreso una complessa attività di preparazione, sia sul fronte interno con i suoi alleati europei e ucraini, sia sul fronte esterno con minacce dirette a Putin. Il tycoon ha informato i leader europei che “per raggiungere un accordo sarà necessario che Kiev scambi alcuni territori“. Questo messaggio, ribadito durante una videoconferenza con Volodymyr Zelensky e i leader europei, punta a preparare gli alleati a potenziali concessioni territoriali da parte dell’Ucraina a Mosca. Nonostante le obiezioni ucraine e di alcuni leader europei, come Macron, che ha insistito sulla necessità di discutere eventuali mutamenti territoriali “unicamente con l’Ucraina”, la posizione di Trump sulla necessità di scambi territoriali è stata mantenuta ferma.
Al contempo, Trump ha minacciato Putin con “sanzioni” e “conseguenze molto gravi“ se non si dovesse arrivare a risultati concreti, incluso un cessate il fuoco. Il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, non ha escluso il ricorso a sanzioni e dazi secondari come leva negoziale.
Gli Stati Uniti hanno anche rafforzato la loro posizione geopolitica, infliggendo un duro colpo all’influenza russa nel Caucaso del Sud mediando l’accordo tra Armenia e Azerbaigian, e osservando la perdita di terreno di Mosca in Siria dopo la caduta di Bashar al Assad. L’obiettivo primario di Trump ad Anchorage è ottenere una tregua e valutare le concrete possibilità di un accordo di pace. Ha persino auspicato un trilaterale “quasi immediatamente” con Putin e Zelensky, cercando una sede neutrale in Europa per tale summit. Questo dimostra una chiara strategia per forzare un esito e mostrare ai suoi alleati che un accordo è possibile, anche se ciò richiede che l’Ucraina e i suoi sostenitori considerino difficili concessioni. Un modello di “cessione de facto e non de iure” di territori ucraini a Mosca, simile al “modello Cisgiordania”, è addirittura in discussione.
L’Alaska: simbolo di territori e concessioni
La scelta dell’Alaska per questo storico incontro tra Trump e Putin è tutt’altro che casuale, ricca di un profondo valore storico e simbolico per entrambe le nazioni. Questa regione fu venduta dall’Impero Russo agli Stati Uniti nel 1867, in un’epoca in cui lo Zar temeva l’espansione britannica. Il fatto che l’incontro avvenga su un territorio un tempo scambiato tra le due potenze, in un momento in cui l’ordine del giorno potrebbe riguardare un possibile scambio di territori nel contesto del conflitto ucraino, offre molteplici chiavi di lettura.
L’Alaska, in questo contesto, enfatizza la riscoperta del controllo dei “territori” come elemento centrale della dialettica mondiale, una netta inversione di tendenza rispetto alla globalizzazione basata sui flussi immateriali. Questo “continentalismo” e le “necessarie annessioni territoriali” sono visti come strumenti per garantire “cuscinetti strategici” e reperire risorse naturali. La questione territoriale sta ridefinendo la geopolitica, e il conflitto ucraino è solo “la punta dell’iceberg” di questo nuovo scenario. L’Alaska, quindi, non è solo una location, ma un potente simbolo della negoziazione su possedimenti e influenza, un confine ghiacciato tra due “debolezze” che potrebbero cercare un “pareggio a reti inviolate” per evitare ulteriori costi di una guerra che nessuno, a parte forse l’America, ha più “Cassa” per continuare. Questo luogo diventa la metafora di un potenziale “accordo al ribasso”.
Entrambi i leader, spinti da esigenze diverse – Putin dalla pressione economica e dalla necessità di una fine (o rinegoziazione) delle ostilità, Trump dalla volontà di chiudere un capitolo internazionale e mostrare risultati diplomatici – sembrano disposti a spingere per concessioni dolorose. Nonostante le resistenze e le reticenze di Kiev e di alcune capitali europee, l’urgenza di fermare il conflitto spinge i due attori principali a confrontarsi direttamente, lasciando intravedere la possibilità di un accordo che, pur tra molteplici criticità, potrebbe finalmente portare alla pace.
Comunque difficilmente si raggiungerà la Pace in Alaska: più probabilmente si porranno le basi per altre trattative tecniche, ma si porrà il modus operandi per le successive trattative.
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