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AI: la Rivoluzione che non ti aspetti. E se a Rischiare il Posto Fossero CEO e Manager?

L’IA non minaccia solo gli operai. Secondo nuovi studi (e il CEO di ServiceNow), anche i manager e i CEO sono sostituibili: costano troppo e hanno visioni a breve termine. I software possono già gestire strategia e decisioni meglio di loro.

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Abbiamo passato anni a temere che l’intelligenza artificiale (IA) sostituisse operai, autisti e impiegati. Eppure, la vera rivoluzione potrebbe colpire dove meno ce l’aspettiamo: ai piani alti. E se l’IA si rivelasse più adatta a sostituire CEO e CFO piuttosto che i lavoratori di linea?

La provocazione non è banale. Perché affidare la guida di aziende complesse a persone dalle conoscenze talvolta superficiali, inclini a visioni di brevissimo termine (spesso focalizzate sul prossimo bonus trimestrale) e, in alcuni casi, “magari non onesti”?

Pensiamo a Kenneth Lay , l’ex CEO di Enron, a Winterkorn di VW o a Callisto Tanzi di Parmalat: non pensate che una AI avrebbe potuto gestire meglio le loro aziende?

Perché non sostituirli con una IA che ha accesso a tutti i dati aziendali in tempo reale, possiede una visione strategica di lungo termine e, soprattutto, non avanza richieste di compenso da 1000 miliardi (ogni riferimento a Elon Musk non è puramente casuale)? All’improvviso, anche i manager diventano sostituibili.

Gli algoritmi di qualità hanno ormai padroneggiato discipline che un tempo erano appannaggio esclusivo dei top manager. Questo sta già incoraggiando le aziende ad attuare radicali misure di riduzione dei costi proprio in quell’area grigia e costosa che è il management.

 

I manager la usano, ma l’IA minaccia loro

Bill McDermott, ex CEO di SAP e ora alla guida di Service Now, è uno di quelli che beneficia del clamore sull’IA. Quando vuole sapere come vanno gli affari, chiede al suo smartphone: “Come vanno le cose in questo trimestre?”. L’IA, connessa a tutti i dati aziendali, gli fornisce un report immediato e dettagliato.

McDermott, da venditore navigato qual è, vede l’IA come uno strumento per ottimizzare. Ma la sua conclusione è netta: “Una delle possibilità che ne deriva è che le aziende possano essere gestite meglio con meno livelli gerarchici”. Tradotto: serviranno meno manager.

Questa non è solo un’opinione. Il “Job Futuromat”, uno strumento online dell’Institute for Employment Research (IAB) tedesco, calcola la percentuale di attività di un profilo professionale che un algoritmo può gestire.

Il risultato per i manager è sorprendente:

  • Manager (generico): Il 67% delle attività è automatizzabile.
  • Quadri intermedi: Sono i più colpiti. Approvazione di viaggi, gestione di piani ferie, monitoraggio dei centri di costo: tutte attività amministrative che un software svolge meglio e più rapidamente.
  • Top Management (CEO/CDA): Anche qui, il livello di automazione raggiunge il 55%.

Come afferma Britta Mattes, ricercatrice dell’IAB: “Chi si occupa solo di queste cose non è più necessario”.

 

Il castello di carte del Top Management

Finora, i vertici aziendali si sono sentiti al sicuro. Anzi, hanno visto l’IA come l’occasione perfetta per sfoltire finalmente quel management intermedio considerato costoso, inefficiente e più interessato al benessere del proprio reparto che a quello dell’azienda.

Ma la convinzione del top management di essere indispensabile potrebbe essere un fatale errore di valutazione. L’intelligenza artificiale è sempre più in grado di svolgere compiti prima riservati ai “pavimenti in moquette a pelo lungo”.

Grazie all’IA, le decisioni possono essere preparate più rapidamente e, a volte, delegate interamente alle macchine. Persino lo sviluppo della strategia, un tempo competenza esclusiva e quasi mistica del top management, può ora essere affidato in gran parte ad algoritmi intelligenti.

Stiamo assistendo all’inizio della fine dei manager? Cosa resterà della leadership quando l’IA potrà gestire la contabilità, la pianificazione e persino le decisioni strategiche? La domanda non è più “se” succederà, ma “quali” competenze umane serviranno ancora per evitare di essere sostituiti da una riga di codice.

Domande e Risposte sul Testo

Ecco tre domande che un lettore potrebbe porsi, con relative risposte:

1) Ma l’IA può davvero sostituire la visione strategica e la leadership di un CEO? Il testo suggerisce di sì, o almeno in larga parte. Mentre la leadership puramente umana (empatia, ispirazione) resta difficile da replicare, lo sviluppo strategico si basa sull’analisi di dati. L’IA può analizzare mercati, performance e scenari futuri in modo più efficiente e meno prevenuto di un umano, delegando la decisione finale (o persino prendendola) basandosi su una mole di dati impossibile da elaborare per una singola persona.

2) Quali sono i manager più a rischio secondo l’analisi? I quadri intermedi sono i più colpiti (67% di compiti automatizzabili secondo il Job Futuromat). Le loro mansioni, come approvazione di richieste, gestione ferie, monitoraggio costi e reportistica, sono attività amministrative facilmente automatizzabili. Tuttavia, l’articolo sottolinea che anche il top management è a rischio (55%), poiché l’IA sta iniziando a gestire anche compiti di alta strategia e decisionali, un tempo considerati intoccabili.

3) Perché un’IA dovrebbe essere migliore di un manager umano? L’articolo suggerisce tre vantaggi: costi, onestà e visione. Un’IA non chiede compensi miliardari (come il riferimento ironico a Musk). Inoltre, non è soggetta a “visioni di brevissimo termine” (come la pressione degli utili trimestrali) e non ha pregiudizi personali o interessi nascosti (“magari non onesti”). Può operare con una visione di lungo termine, basata esclusivamente sui dati e sul benessere aziendale complessivo.

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