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Afghanistan: il “Grande Gioco” del petrolio. Mentre i cinesi falliscono, si affacciano i sauditi
Afghanistan, la Cina fallisce sull’accordo petrolifero. Ora i talebani si rivolgono all’Arabia Saudita per il strategico gasdotto TAPI.

L’Afghanistan, seduto su un tesoro stimato (ma quasi mai sfruttato) di risorse minerarie e idrocarburi, vede un nuovo attore internazionale affacciarsi alla finestra. Mentre il pragmatico, ma forse deludente, accordo con la Cina per lo sfruttamento petrolifero sembra essersi arenato, Kabul guarda ora all’Arabia Saudita per lo sviluppo del settore e per il rilancio di un progetto strategico: il gasdotto TAPI.
Il Ministero delle Miniere e del Petrolio (MoMP) afghano ha annunciato giovedì un incontro di alto livello. Il ministro Mullah Hidayatullah Badri ha ricevuto Ali Saeed Al-Khayar, CEO della Saudi Delta International Company, accompagnato da Zamari Kamgar, direttore di Kam Energy.
Secondo la dichiarazione ufficiale, la compagnia saudita ha espresso un forte interesse a investire nei settori del petrolio e del gas afghani, ma soprattutto nell’estensione del progetto del gasdotto TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India), un’infrastruttura chiave che da decenni attende un completamento definitivo.
L’incontro si è concluso con la firma di un memorandum d’intesa (MoU) per facilitare le discussioni tecniche future. Al-Khayar si è inoltre impegnato a condividere l’esperienza tecnica della sua azienda con gli ingegneri locali, un trasferimento di know-how che Kabul ritiene fondamentale.
Il ministro Badri ha ovviamente accolto con favore l’interesse, assicurando la “cooperazione in conformità con la legge mineraria e le procedure pertinenti”. Una formula di rito, ma necessaria per rassicurare chiunque voglia investire in un contesto geopolitico ed economico tra i più complessi al mondo, ma che vede l’Afghanistan esportare modeste quantità di petrolio dalla fine del 2024.
L’inciampo della Cina
L’apertura ai sauditi assume un rilievo particolare perché arriva proprio mentre l’altro grande investitore asiatico, la Cina, sembra aver fatto un passo falso.
Quando i talebani hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan quattro anni fa, Pechino si era mossa con la consueta rapidità per cementare la propria influenza, firmando un accordo per lo sviluppo di giacimenti petroliferi nel bacino dell’Amu Darya.
L’accordo, tuttavia, è ora considerato fallito. Vediamo i dettagli di quell’intesa:
- Il Partner Cinese: Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Co., Ltd (CAPEIC).
- La Firma: Avvenuta nel gennaio 2023, con una durata prevista di 25 anni.
- L’Impegno (Mancato): La CAPEIC avrebbe dovuto investire 540 milioni di dollari solo nei primi tre anni.
- L’Obiettivo: Esplorare un’area di 4.500 kmq ed estrarre, a regime, fino a 20.000 tonnellate di petrolio.
Oggi quel castello di carte è crollato. Come spesso accade in questi casi, è partito il rimpallo delle responsabilità: entrambe le parti – talebani e CAPEIC – si accusano reciprocamente di aver violato le clausole contrattuali.
Un epilogo che dimostra come fare affari con l’Emirato, anche per la pragmatica e vicina Cina, non sia affatto una passeggiata. Resta da vedere se gli investitori sauditi, forse più abituati a dinamiche regionali complesse, avranno più fortuna o, più semplicemente, più pazienza.
Domande e Risposte sul Testo
Come richiesto, ecco tre domande che un lettore potrebbe porsi, con relative risposte.
1) Perché l’accordo cinese sull’Amu Darya è fallito? Ufficialmente, l’accordo da 540 milioni di dollari con la cinese CAPEIC è fallito per “violazioni contrattuali” denunciate da entrambe le parti. Sebbene i dettagli non siano pubblici, fonti giornalistiche indicano che la compagnia cinese non ha rispettato gli impegni di investimento (150 milioni di dollari nel primo anno) e i tempi previsti. I talebani hanno quindi annullato l’accordo, segnalando che anche i partner strategici come la Cina devono rispettare i patti. È probabile che le difficoltà logistiche, la sicurezza e la scarsa infrastruttura abbiano reso l’investimento meno profittevole del previsto per CAPEIC.
2) Cos’è esattamente il gasdotto TAPI e perché è così importante? Il TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India) è un progetto di gasdotto lungo oltre 1.800 km, pensato per trasportare gas naturale dal Turkmenistan (che ha riserve immense) ai mercati energetici di Afghanistan, Pakistan e India. È strategico perché diversificherebbe le forniture per India e Pakistan e garantirebbe all’Afghanistan ingenti tasse di transito e una fornitura energetica stabile. Tuttavia, la sua costruzione è bloccata da decenni a causa dell’instabilità afghana. L’interesse saudita nel suo “completamento” è un segnale geopolitico forte, volto a guadagnare influenza in Asia Centrale.
3) L’Afghanistan è davvero ricco di risorse o è un mito? L’Afghanistan possiede ingenti risorse minerarie, in gran parte non sfruttate. Stime (spesso citate ma difficili da verificare) parlano di un valore potenziale superiore ai 1.000 miliardi di dollari. Queste risorse includono ferro, rame, cobalto, oro e, soprattutto, elementi cruciali per la transizione energetica come il litio e le terre rare. A queste si aggiungono riserve stimate di petrolio e gas, come quelle del bacino Amu Darya. Il problema non è la loro esistenza, ma l’enorme difficoltà nell’estrarle a causa dell’instabilità politica cronica, della corruzione e della totale mancanza di infrastrutture.

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