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Addio antidolorifici? La Scienza isola l’interruttore del dolore e lascia Intatta la guarigione

Una nuova scoperta potrebbe mandare in pensione i comuni antidolorifici: gli scienziati hanno trovato come spegnere il dolore senza bloccare il naturale processo di guarigione del corpo, aprendo la via a terapie più sicure ed efficaci.

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Siamo da sempre abituati a pensare che infiammazione e dolore siano due facce della stessa, fastidiosa, medaglia. Un colpo, una distorsione, un mal di testa? La risposta quasi automatica è un farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS), come il comune ibuprofene o l’aspirina. Eppure, una recente ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Communications potrebbe ribaltare questo paradigma, mostrando una via per “spegnere” il dolore senza interferire con il processo infiammatorio, che, a quanto pare, non è sempre il nemico da combattere.

Il problema dei Comuni Antidolorifici

I FANS sono tra i farmaci più consumati al mondo; solo negli Stati Uniti se ne contano circa 30 miliardi di dosi l’anno. Il loro meccanismo è semplice ed efficace: bloccano gli enzimi che producono le prostaglandine, sostanze che mediano sia la sensazione di dolore sia la risposta infiammatoria. Meno prostaglandine, meno infiammazione e meno dolore. Semplice, no? Non esattamente.

Il problema è che questo approccio “a tappeto” ha delle controindicazioni non trascurabili, soprattutto in caso di uso prolungato. Tra i rischi principali troviamo:

  • Danni alla mucosa gastrica, con possibili ulcere e sanguinamenti.
  • Aumento del rischio di problemi cardiaci.
  • Potenziali danni a reni e fegato.

Ma c’è un problema ancora più sottile: l’infiammazione non è solo un fastidio. Come sottolinea il professor Pierangelo Geppetti, uno degli autori dello studio, “L’infiammazione può essere positiva: ripara e ripristina la normale funzione. Inibirla con i FANS può ritardare la guarigione”. Un’idea quasi eretica, che però apre a scenari terapeutici completamente nuovi.

La scoperta: scollegare dolore e infiammazione

I ricercatori del Pain Research Center della NYU, in collaborazione con l’Università di Firenze, si sono concentrati sulla prostaglandina E2 (), considerata una delle principali responsabili del dolore infiammatorio. Questa sostanza agisce legandosi a quattro diversi tipi di recettori presenti sulle cellule. La sfida era capire quale di questi fosse il vero e proprio “interruttore” del solo dolore. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature.

Lavorando sulle cellule di Schwann, componenti del sistema nervoso periferico cruciali nella trasmissione del dolore (ad esempio nell’emicrania), gli scienziati hanno fatto una scoperta sorprendente. Mentre le attenzioni erano puntate sul recettore EP4, si sono accorti che il vero responsabile della sensazione dolorosa era un altro: il recettore EP2.

Cellule di Schwann

Utilizzando un approccio mirato su modelli murini, i ricercatori hanno silenziato selettivamente il recettore EP2. Il risultato è stato netto:

  • Il dolore mediato dalle prostaglandine è stato abolito.
  • Il processo infiammatorio ha seguito il suo corso naturale, senza essere intaccato.

“Con nostra grande sorpresa, bloccando il recettore EP2 nelle cellule di Schwann abbiamo abolito il dolore mediato dalle prostaglandine, ma l’infiammazione ha seguito il suo corso normale. Abbiamo di fatto scollegato l’infiammazione dal dolore”, ha spiegato Geppetti.

Quali Prospettive per il Futuro?

Questa scoperta apre la strada allo sviluppo di una nuova classe di farmaci, gli “antagonisti selettivi del recettore EP2”. In teoria, questi farmaci potrebbero offrire un controllo del dolore efficace quanto quello dei FANS, ma senza i loro effetti collaterali e, soprattutto, senza ostacolare i meccanismi naturali di guarigione del corpo.

L’applicazione più promettente, almeno inizialmente, potrebbe essere quella locale, ad esempio tramite iniezioni in un’articolazione colpita da artrite. Questo permetterebbe di massimizzare l’effetto antidolorifico minimizzando eventuali effetti sistemici. La ricerca è ancora in fase pre-clinica, ma la strada è tracciata per un approccio al dolore molto più intelligente e rispettoso della biologia del nostro corpo.

Domande e Risposte per il Lettore

1) Quando potremo trovare in farmacia questi nuovi farmaci contro il dolore?

È importante essere cauti. La ricerca si trova in una fase pre-clinica, il che significa che è stata condotta su cellule e modelli animali. Prima che un farmaco basato su questo principio arrivi sul mercato, dovranno essere superate diverse fasi di sperimentazione clinica sull’uomo per verificarne sicurezza ed efficacia. Questo processo richiede solitamente molti anni, in media tra i 5 e i 10. Pertanto, è improbabile vederli disponibili in farmacia nel breve termine, ma rappresentano una direzione molto promettente per il futuro della terapia del dolore.

2) Quindi l’infiammazione fa bene? Dovrei evitare di prendere l’ibuprofene quando ho un dolore?

L’infiammazione è una risposta naturale e necessaria del corpo a un danno o un’infezione. È il processo attraverso cui il sistema immunitario ripara i tessuti e combatte gli agenti patogeni. In questo senso, è un meccanismo benefico. Tuttavia, in alcune patologie croniche, l’infiammazione può diventare essa stessa un problema. Non bisogna smettere di seguire le terapie prescritte dal proprio medico. Questa ricerca non suggerisce di abbandonare i FANS oggi, ma apre la strada a future terapie che potrebbero essere più selettive, gestendo il dolore senza bloccare un processo di guarigione fondamentale.

3) In che modo questo approccio è diverso da quello di altri antidolorifici come il paracetamolo o gli oppioidi?

Questo approccio è radicalmente diverso. I FANS (ibuprofene, aspirina) agiscono a livello periferico bloccando la produzione di prostaglandine, con effetti sia sul dolore sia sull’infiammazione. Il paracetamolo agisce principalmente a livello del sistema nervoso centrale con un meccanismo non ancora del tutto chiarito, avendo un effetto antidolorifico e antipiretico ma quasi nullo sull’infiammazione. Gli oppioidi (morfina, codeina) agiscono sui recettori oppioidi del cervello per bloccare la percezione del dolore, ma comportano alti rischi di dipendenza e altri effetti collaterali. L’approccio EP2 è unico perché mira a bloccare selettivamente il segnale del dolore alla sua origine, senza interferire con la guarigione.

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