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Abbiamo una marea crediti fiscali inesigibili (di C. Alessandro Mauceri)

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Che il carico fiscale italiano è tra i più alti al mondo non è una novità. Se ne parla da decenni. Nessuno, però, quali sono le cause principali di questo “primato”. Tre i principali problemi che fanno sì che il peso di tasse, tariffe e gabelle sia così alto sui contribuenti.

Il primo problema è che a pagare le tasse sono in pochi (e sempre meno): in Italia, solo il 40% della popolazione paga oltre il 90% del totale delle tasse, locali e nazionali. É quanto emerge da un rapporto appena presentato da Federcontribuenti: a pagare le tasse per (quasi) tutti gli italiani sono solo due contribuenti su cinque. Gli “altri”, ovvero il restante 60% non solo non le paga, ma è totalmente a carico della collettività.

A questo si aggiunge un altro problema: i crediti mai riscossi. Se ne parla da anni. Eppure, ancora oggi, non è possibile nemmeno sapere a quanto ammontano ufficialmente. Secondo le stime più ottimistiche (approssimate per difetto), i debiti verso l’Agenzia delle Entrate Riscossione ammonterebbero alla stratosferica somma di 450 miliardi di Euro! Come dire dieci anni (e passa) di manovre finanziarie. Per “l’83,4% sono crediti di natura erariale affidati alla riscossione da Agenzia delle Entrate; il 13,1% sono crediti di natura contributiva o previdenziale affidati dall’INPS e dall’INAIL; il 1,9% crediti affidati dai Comuni e l’1,6% sono crediti affidati da altri enti impositori (Regioni, Previdenza, Camere di commercio, Ordini professionali)”, dicono gli esperti di Federcontribuenti. Centinaia di miliardi di Euro per buona parte difficilmente esigibili perché a carico di soggetti non più in grado di provvedere a se stessi o all’Erario. O perché (153,1 miliardi di Euro) dovuti da soggetti dichiarati “falliti”. O perché (118,9 miliardi) riconducibili a persone decedute o a imprese cessate. O ancora (109,5 miliardi) dovute da “nullatenenti”.

Ma non basta. C’è anche un terzo aspetto che incide in modo rilevante sul carico fiscale degli italiani: la spesa pubblica. Ovvero il complesso di denaro di provenienza pubblica che viene utilizzato dallo Stato in beni pubblici e/o servizi pubblici finalizzati al perseguimento di fini pubblici. Sono anni che si parla di spending review. Un processo, in teoria, volto a migliorare l’efficienza e l’efficacia della spesa pubblica attraverso la sistematica analisi e valutazione della pubblica amministrazione nelle sue strutture organizzative statali (ad es. ministeri, tribunali, istruzione pubblica, sanità pubblica ecc.) e territoriali (Regioni, Province, Comuni, ecc.), delle procedure decisionali e attuative, dei singoli atti all’interno dei programmi e dei risultati finali. Tutto questo con un fine unico: ridurre questa spesa (sulla quale un peso non indifferente è costituito dal costo del denaro – ma anche di questo i politici preferiscono non parlare).

In realtà, le risorse recuperate ogni anno con la spending review pare siano state utilizzate più per misure espansive o per ridurre il deficit che per ridurre la spesa pubblica. A confermarlo, la relazione pubblicata nell’estate del 2017 dal commissario Yoram Gutgeld, che indicava che due terzi delle entrate dello Stato serviva per risanare i conti pubblici, finanziare i servizi pubblici essenziali e poco più.

Oggi, tutti i politici (e gli esperti al loro fianco) parlano con estrema facilità di debito pubblico, misurato a colpi di decine di miliardi. E quando lo si vede crescere (a causa delle tasse non riscosse o dei problemi legati alla pandemia o a causa di scelte come il pagamento della “buonuscita” ad Autostrade per l’Italia o al pozzo senza fondo che sono enti come Alitalia e MPS) lo si fa con leggerezza, quasi senza preoccupazione. Come se a farsene carico dovessero essere “altri”. Magari le generazioni future. Spesso, si cerca di gettare tutto in un unico calderone dove spese per l’epidemia e spese per investimenti vengono fuse e confuse. Sperando che siano i fondi europei a pagare. La realtà è che anche quelli, alla fine, dovranno essere pagati con i soldi che l’Italia versa all’UE (direttamente, come rimborso al prestito, o indirettamente come fondi per finanziare l’UE). Soldi che non saranno prelevati dalle tasche di tutti. Ma solo da quelle del 40% dei contribuenti….

C.Alessandro Mauceri


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