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A dicembre la disoccupazione riprende mentre cala quella giovanile. Le politiche dell’offerta non servono a nulla.

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Lieve aumento della disoccupazione a dicembre +11,4% su base mensile segnando un calo degli occupati di -21 mila unità sempre nell’ultimo mese dell’anno. Su base annuale si registra però un calo della disoccupazione pari a -254 mila persone in cerca di lavoro. Ma è bene precisare che all’interno di questi 254 mila unità che NON cercano lavoro, vi sono gli inattivi e che anche se scesi a novembre e dicembre dello 0,1%, sono cresciuti a settembre (+0,4%) e ottobre (+0,2%) attestandosi sempre al 36,2%, registrano alla fine del 2015 un incremento della disoccupazione del +0,1%. (dati Istat)
Ciò che fa aumentare l’occupazione sulla base annuale, sono i nuovi contratti legati al jobs act che altro non sono che una conversione rispetto ai vecchi contratti precedenti e non una creazione di nuovi posti di lavoro aggiungendo quelli precedenti. Il jobs act crea un posto di lavoro ma ne cancella uno precedente. Anche sul fronte della disoccupazione giovanile i dati sono deludenti, malgrado gli sgravi fiscali, usati come incentivi per le assunzioni, il tasso è al 37,9%, in calo ma con un aumento degli inattivi dello 0,1% a dicembre.
Anche in questo caso, a far calare il tasso dei giovani senza lavoro è la volatilità del mercato, ovvero assunzioni “facili” ma precarie bilanciate da licenziamenti facili.
In conclusione, malgrado la discesa dei tassi sul finanziamento dello Stato tramite il QE, il calo del petrolio, il recupero dell’economia americana che ancora non ha aumentato i tassi di interessi e il tanto acclamato jobs act, il tasso di disoccupazione è perfino in aumento. Ciò significa che se non si agisce dal lato della DOMANDA ovvero liquidità per l’economia reale, investimenti, calo della tassazione e un forte alleggerimento dei vincoli di bilancio, sarà del tutto inutile al fine di creare vera occupazione anzichè creare posti di lavoro provenienti da conversioni di ex contratti.
Il vero risultato per l’economia reale è far diminuire il tasso di inattività ovvero il zoccolo duro e di conseguenza una vera riduzione della disoccupazione. Ma sperando di far credere che il tasso di disoccupazione scenda, mantenendo invariato o peggio ancora in aumento il tasso di inattività, sarà del tutto inutile ed il bluff (del jobs act) verrà a galla. Non a caso, malgrado il QE, il tasso di inflazione è perfino in negativo in Italia, ciò significa che i consumi ed il lavoro di conseguenza non sono ripartiti.
Per far ridurre gli inattivi, occorre finanziare la domanda dei beni e servizi, ma questo, nel contesto delle logiche legate, anzi imposte dall’eurozona, farebbe perdere quella competitività (non più recuperabile dalle monete nazionali e flessibili) che produrrebbe un aumento delle importazioni e quindi un ulteriore saldo negativo della bilancia pagamenti, per tale motivo, anche la commissione europea ha ammesso che con la moneta unica si deve svalutare il lavoro in assenza di svalutazione delle monete sovrane. Quindi quello che possono fare i governi europei sul campo del lavoro è agire di contorno con le politiche dell’offerta, quando viviamo una crisi da domanda.

In conclusione, finchè saremo legati nell’euzona che impone l’austerità competitiva sotto il nome di riforme, non si potrà mai agire sulla domanda per creare vero lavoro…


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