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“1,32: eutanasia di un popolo.” di Raffaele SALOMONE-MEGNA

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Cosa penserebbe nelle notti di luna piena il pastore errante dell’Asia, quello di Giacomo Leopardi, della natalità dei popoli dell’Unione Europea?

Sicuramente che quelle genti sono giunti alla sua stessa conclusione: ”forse in qual forma, in quale stato che sia, dentro covile o cuna è funesto a chi nasce il dì natale”.

Popoli che, più o meno nella stessa guisa, in preda ad un pessimismo cosmico causato da un distopico progetto politico e da un pensiero debole , subiscono la scelta di estinguersi, di autoannientarsi.

E fa specie che nell’Europa, così attenta ai numeri ed ai decimali, ci siano invece alcuni dati che le nostre élites transnazionali bellamente ignorano, come se non esistessero.

Alcuni vengono imposti a noi miseri umani come verità assolute, inviolabili, direttamente ammannite da divinità pagane, quelle dell’Olimpo di Bruxelles ed afferiscono ai limiti invalicabili del deficit annuale e di debito imposti alla spesa pubblica.

Altri numeri, invece, non sortiscono ambascia alcuna, anche se dovrebbero.

Avete, per esempio, mai sentito parlare del debito privato in relazione al PIL?

Certamente no, perché di esso non si parla mai, ma proprio mai.

In questa Europa piena di ubbie ed aporie il debito è deprecabile, ma per i grandi maitre de pensée solo quello statale.

Del debito privato non si dice alcunché, anzi tutto è stato pensato affinché i cittadini diventino schiavi delle finanziarie e delle banche. E’ l’Europa dei rentiers!

Ma torniamo all’1,32 del titolo di questo scritto. Cosa è?

Orbene, 1,32 è la fecondità italiana registrata dall’ISTAT nell’anno 2017.

E’ un valore molto basso, anzi bassissimo. Ma nessuno dice nulla in merito, quando invece per mesi interi si sono tenute animate discussioni aventi per oggetto frazioni decimali sul deficit di bilancio italiano per il 2019. Quante minacce di scomuniche, quanti anatemi per i reprobi da parte delle vestali della Commissione Europea.

Perché Juncker tace invece sull’ 1,32 ? Cerchiamo di comprenderne il motivo, ma prima vediamo di spiegare semplicemente cosa comporterà per l’Italia un tasso si fecondità dell’ 1,32.

Come è a tutti noto, gli uomini non partoriscono, essendo per natura prerogativa e privilegio esclusivo delle donne.

Ne consegue che, per impedire il decremento di una popolazione, ciascuna donna fertile deve procreare almeno due figli.

In realtà, poiché ci sono pure delle coppie sterili, il tasso di sostituzione, quello che pareggia le nascite alle morti, è teoricamente fissato al 2,1.

L’ultimo anno in cui si è registrato tale valore in Italia è stato il 1976, poi la parabola repentinamente si è fatta discendente.

Altro parametro fondamentale è il tasso di natalità, che rappresenta il numero di nascite annue ogni mille abitanti.

In Italia nel 2017, secondo i dati ISTAT, sono nati 8 bambini ogni 1000 abitanti, collocando la nostra nazione tra gli ultimi posti al mondo, mentre il Niger è risultato al primo posto con 52 nascite ogni 1000 abitanti.

L’ISTAT, con l’asetticità che compete ad un istituto nazionale di statistica, di fronte ad una tale debacle così riporta :

Nel 2017 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 458.151 bambini, oltre 15 mila in meno rispetto al 2016. Nell’arco di 3 anni (dal 2014 al 2017) le nascite sono diminuite di circa 45 mila unità mentre sono quasi 120 mila in meno rispetto al 2008. La fase di calo della natalità innescata dalla crisi avviatasi nel 2008 sembra quindi aver assunto caratteristiche strutturali.

In buona sostanza, l’ISTAT ci conferma qualcosa che tutti sanno e che hanno capito da tempo: con la crisi economica ormai perenne gli italiani non si sposano e non fanno figli perché, come diceva la buonanima di mia nonna, i matrimoni non si fanno con i fichi secchi e le noci.

E questo vale anche per gli immigrati, che per metter su famiglia hanno bisogno anch’essi di un lavoro stabile e di una casa in cui vivere dignitosamente.

Quindi, se è vero che dal 1861 al 2013 la popolazione residente italiana è triplicata, passando dai 22 milioni del 1860 ai 61 milioni del 2013, è anche vero che c’è una differenza abissale nel numero delle nascite che nel 1861 ammontavano a 946.000, e quello del 2017, che sono state solamente 458.151.

Per comprendere i tassi differenti di natalità, è necessario rifarsi alla struttura per età e per sesso della popolazione: a parità di tasso di fecondità una popolazione strutturalmente giovane presenterà tassi di natalità più elevati rispetto a quelli di una invecchiata.

In definitiva, nei tempi andati, in Italia c’erano molte donne che facevano molti figli, successivamente ci sono state molte donne che hanno generato pochi figli ed ora, che per motivi anagrafici le donne nate nel periodo del boom demografico non procreano più, ci sono poche donne che fanno pochi figli (per l’esattezza le donne in età feconda nel 2017 sono state 12,8 milioni).

Gli effetti della denatalità si registrano in maniera evidente nelle scuole che accolgono i nostri giovani.

ll numero di autonomie scolastiche diminuisce inesorabilmente ogni anno, così come aumenta il numero dei plessi chiusi.

Conseguenza della denatalità sono i patetici open day, che le scuole organizzano nel mese di gennaio, con grande profusione di ricchi premi e cotillon.

Pratiche assolutamente sconosciute sino alla fine degli anni ‘90, sono un tentativo grottesco per accaparrarsi i pochi giovanetti rimasti.

E se la diminuzione delle nascite continuerà nel nostro Paese, gli effetti negativi si sentiranno a breve inesorabilmente non solo nella scuola, bensì in tutti gli altri settori sociali, anche se per ora il numero complessivo degli italiani residenti si mantiene ancora costante per l’allungamento della vita media e l’immigrazione.

Non sarà positivo essere un popolo con sempre meno giovani e sempre più vecchi.

Non avremo così i lavoratori necessari al nostro sistema produttivo con la differenza che, mentre la moneta è fiat e può essere creata dal Mario Draghi di turno pigiando i tasti di un computer, i lavoratori sono persone che devono essere concepite, partorite, accudite, educate ed istruite per almeno 18 anni, prima di essere in grado di produrre.

Avremo un impoverimento diffuso, non potendo garantire a tutti i futuri italiani la produzione di beni e servizi per un un sufficiente tenore di vita e ci saranno problemi enormi per la sanità pubblica e per le pensioni.

Ma perché Juncker e la Commissione Europea di fronte ad un problema così evidente non dicono nulla in merito?

Perchè forse sono gli artefici, consapevoli o inconsapevoli poco importa, nell’Unione Europea di quel grande esperimento di ingegneria sociale che è la globalizzazione e che George Soros chiama eufemisticamente “società aperta”.

Experimentum in corpore vili!

Infatti, la denatalità comporterà un aumento della povertà, la concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi, la scomparsa dello stato sociale diventato insostenibile e la necessità di aprire le porte a migranti dall’estero.

Verranno giovani in grado di lavorare, forse, ma con una cultura ed un vissuto diverso dal nostro, senza alcuna consapevolezza della nostra storia e delle lotte dei nostri avi per conquistare i nostri diritti e che formeranno quello che Carl Marx chiamava esercito industriale di riserva.

Il Governo italiano deve porre in essere urgentemente dei provvedimenti per contrastare la denatalità prima che sia troppo tardi.

Ma per fare questo deve rimuovere le cause che l’hanno generata (cosa non affatto facile) e prendere contezza del fatto che il modello europeo non solo impoverisce le genti, ma porta nel lungo periodo all’estinzione le popolazioni autoctone.

La stabilità dei prezzi comporta il contenimento dell’inflazione e quindi elevata disoccupazione e deflazione salariale.

Per contro incertezza sul futuro occupazionale, scarse prospettive di impiego, lavori occasionali e mal pagati determinano il crollo dei matrimoni e delle nascite complessive.

Ciò significa ribaltare trenta anni e più di scelte macroeconomiche iperliberiste fatte dai Governi precedenti e porsi in contrasto con l’U.E., totalmente prona alla filosofia globalista.

Significa avviare una nuova stagione di diritti sociali e non di diritti cosmetici, significa dare definitiva attuazione alla nostra Costituzione economica, creando lavoro anche monetizzando il debito sovrano.

Roba da far tremare le vene ed i polsi anche dei più volenterosi.

Tuttavia, qualcosa nell’immediato si può e si deve fare che vada oltre la stagione dell’accoglienza indiscriminata dei migranti economici.

Innanzitutto bisogna tutelare in ogni modo le donne in maternità, che sono sempre più rare, in modo che la loro assenza durante il periodo di gestazione non sia un peso per i datori di lavoro.

La seconda cosa da fare è prendere esempio dalla Federazione Russa.

Infatti, sin dal 2005 lo stato russo sostiene le famiglie che decidono di avere figli successivi al primo con la costituzione di un “capitale materno” di 10.000 euro, da erogarsi a partire dal terzo anno di vita del bambino.

Per il tenore di vita russo 10.000 euro sono una grande cifra che ha portato in breve tempo il tasso di fecondità dall’1,3 all’attuale 1,7.

La terza cosa da fare è diffondere la cultura dei figli, in assoluto contrasto con l’odierno nomadismo gaudente consumistico, perché una società senza figli è una società senza futuro, destinata all’estinzione.

Raffaele SALOMONE MEGNA

 


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