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10 MOTIVI PER CUI E’ SBAGLIATO COMPRENDERE NEL CALCOLO DEL PIL L’ECONOMIA CRIMINALE

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Da Vincitori e Vinti, dell’ottimo Paolo Cardena’

 

Come sapete, l’Istat, in ottemperanza alle nuove modalità di calcolo del Pil previste da Eurostat, nelle settimane scorse, ha provveduto a ricalcolare il Prodotto Interno Lordo dell’Italia dal 2009 al 2013, includendo anche alcune componenti delle attività criminali, quali il contrabbando, la prostituzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Del tema, in questi pixel, ce ne siamo occupati già qualche mese fa con QUESTO post, ma anche con altri.

 
Per via del ricalcolo effettuato dall’Istat, come avevamo già anticipato, la dinamica del PIL migliora notevolmente, incidendo sia sul rapporto debito/Pil che sul deficit.
 
Tanto per offrirvi la misura del miglioramento, ho prodotto un grafico nel quale si evidenza la dinamica del PIL dal 2006 al 2013, calcolato sia con le vecchie regole, sia con i nuovi criteri (dal 2009) stabiliti dal Sec-2010 approvato da Eurostat.
 
 
Nei giorni scorsi, dall’amico Saverio Berlinzani, ho ricevuto alcune illuminanti riflessioni che voglio condividere con voi. Saverio, per chi non lo conoscesse, oltre ad essere il Presidente di Aprimef (Associazione Piccoli Risparmiatori e Investitori), è uno dei migliori cambisti operanti in Italia, con alle spalle numerose e qualificanti esperienze che, tanto per vostra conoscenza, potete trovare nel breve curriculum in fondo all’articolo.
 
Scrive Saverio Berlinzani:
 
10 MOTIVI PER CUI E’ SBAGLIATO COMPRENDERE NEL CALCOLO DEL PIL L’ECONOMIA CRIMINALE !
1. Il pil misura la ricchezza e il benessere di una paese, e includere nel calcolo l’economia derivante da attività illecite vorrebbe dire sommare attività che producono un forte disagio sociale, senza creare ricchezza.
2. Non è vero che gli altri paesi includono le attività illecite nel pil ! Stati Uniti, Cina e Giappone non le comprendono; Per l’Europa occorrerà attendere il 30 settembre per sapere quale sarà la lista dei paesi che si adegua a questa regolamento. La Francia ha già fatto sapere che ne resterà fuori.
3. Verrebbe compromesso un indicatore importante per valutare l’efficacia delle politica economiche del Governo, senza più garantire una corretta comparazione con le economie degli altri Paesi,
4. Non è vero che si tratta di somme irrisorie. Secondo le statistiche dell’Istat, il pil criminale è pari a 15 miliardi di euro, pari all’1% del pil. L’Italia non ha una crescita superiore all’1% da almeno 3 anni, il 2013 è stato chiuso a -1,8%.
5. Verrebbero ridotti tutti i finanziamenti e gli aiuti concessi dall’Unione Europea calcolati in rapporto al pil. I fondi europei vengono infatti ripartiti su base regionale, e siccome aumenterebbe il pil teorico del sud, le regioni meridionali riceverebbero meno denaro in quanto avrebbero un pill maggiore.
6. Le attività criminali non sono misurabili scientificamente ma si tratta di pure stime! Ciò crea problemi di comparazione del pil italiano con quello degli altri paesi, rendendo il dato sul prodotto interno lordo completamente aleatorio.
7. Il pil serve anche per misurare la capacità di un paese di far fronte ai suoi debiti. Includere queste risorse è puramente illusorio in quanto le attività criminali non creano entrate per lo Stato, anzi spesso sono fonte di uscite. Molti dei proventi di questo settore, infatti, sono trasferiti e occultati all’estero.
8. I benefici in termini di contabilità nazionale sarebbero in ogni caso circoscritti solo al primo anno di applicazione; di contro si creerebbe un pericoloso precedente nell’alterazione degli indicatori statistici economici del paese.
9. Un paese che soffre come il nostro, dei danni che l’economia illecita provoca in vaste aree del territorio, non può far entrare nel calcolo del pil le pseudo risorse provenienti dalle attività illecite che mortificano invece lo sviluppo dell’economia, alterano la concorrenza e scoraggiano gli investimenti.
 
10. Dal punto di vista razionale si produrrebbero dei risultati paradossali: ogni caso di successo nella lotta alla delinquenza si trasformerebbe in un danno valutabile sotto il profilo macroeconomico. Dal punto di vista sociale verrebbe così mortificata l’attività di migliaia di uomini e donne delle forze dell’ordine e della magistratura impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata.
 
Sempre sul tema, vi segnalo anche l’ottimo articolo di Marcello Esposito, pubblicato su “LaVoce.info”
 
L’IMPORTANZA DEL PIL
 
A partire da settembre un certo numero di paesi europei, tra cui l’Italia (ma non la Francia), inseriscono nel calcolo del Pil alcune forme di economia “criminale”(contrabbando, prostituzione e droga). Stando a quanto comunicato da imbarazzati funzionari, la decisione proviene motu proprio da Eurostat, l’agenzia statistica della Comunità Europea, che in questo modo obbliga i paesi membri a recepire indicazioni metodologiche risalenti addirittura al 1996 e ribadite nel 2013. (1)
Stendiamo un velo pietoso sul modo in cui la stima verrà effettuata.(2) Cerchiamo invece di capire le distorsioni economiche, prima ancora che morali, implicite in una scelta apparentemente “tecnica” ma sostanzialmente “ideologica”.
Il Pil, tra tutte le statistiche economiche, è una delle più importanti e ha assunto una valenza che va ben al di là delle classifiche tra paesi o della semplice misurazione della “ricchezza” materiale prodotta in un determinato lasso temporale. Una valenza che nel caso dell’Unione Europea è sancita da trattati internazionali che vincolano i comportamenti dei paesi membri, influenzando reciprocamente la vita, le speranze e il benessere di 500 milioni di persone. Ci riferiamo principalmente al Trattato di Maastricht e agli accordi successivi, attraverso i quali è stata creata la moneta unica e si sono coordinate le finanze pubbliche dei paesi membri. In questi accordi e nella loro applicazione pratica, il Pil svolge un ruolo determinante perché è da una sua corretta misurazione che discende un’interpretazione appropriata di alcuni rapporti chiave, come quello del deficit/Pil e quello del debito/Pil.
Perché in Maastricht si è deciso di usare il Pil e non qualche misura alternativa di benessere o di felicità? Perché non sono state incluse forme di attività come il lavoro casalingo?Il motivo è che serve una misura della potenziale “base imponibile” su cui i governi possono contare per rispettare gli impegni assunti nei confronti degli investitori, privati e istituzionali, che, acquistando il loro debito, hanno finanziato la quota di spesa pubblica non coperta dalle tasse. Il Pil, se calcolato correttamente, rappresenta la misura più affidabile della capacità di un’economia di produrre reddito “imponibile”.
Visto nell’ottica dell’investitore, basta anche solo l’inserimento dell’economia “sommersa” (attività perfettamente legali ma non dichiarate, come le somme versate in nero al dentista o all’idraulico) nel calcolo del Pil per sporcarne la capacità segnaletica:il reddito dell’economia sommersa per definizione sfugge alle autorità fiscali del paese e quindi è inutile ai fini della determinazione della sostenibilità delle finanze pubbliche. Se gli abitanti di Evadolandia hanno tutti la Mercedes, ma risultano nullatenenti per il fisco, il ministero del Tesoro pagherà uno spread salato sui suoi titoli di Stato anche se sulla carta il deficit/Pil dovesse risultare inferiore al 3 per cento a causa di un Pil gonfiato dalla stima del reddito evaso.
Forse qualcuno ricorderà che nel 2006 la Grecia rivalutò nottetempo del 25 per cento il proprio Pil, includendo stime fantasiose circa la dimensione dell’economia sommersa e dell’economia criminale. In quel modo riuscì a mascherare lo sforamento nel rapporto deficit/Pil che era in atto. Come è andata a finire, lo sanno tutti.Per la cronaca, anche l’Italia (“una faccia, una razza”) è famosa per un’operazione analoga voluta da Bettino Craxi nel 1987, limitata tuttavia all’economia “sommersa”, che ci illuse per qualche anno di aver spezzato le reni alla Gran Bretagna.
LA DIFFERENZA TRA “SOMMERSO” E “CRIMINALE”
 
Se oltre all’economia “sommersa”, si include anche (una stima) dell’economia “criminale” all’interno del Pil, si rischia invece di compiere un vero e proprio errore di logica economica. Se il “sommerso” potrà venire alla luce del sole con una più efficiente lotta all’evasione e con una legislazione fiscale più semplice, l’economia “criminale”, invece, non potrà mai emergere.
L’economia “criminale” viene combattuta ogni giorno dalle forze di polizia, dalla magistratura, dalle istituzioni. L’obiettivo è quello di azzerarla, non di farla emergere, perché il nostro comune sentire ha decretato che quelle attività sono dannose e distruggono capitale umano, sociale ed economico.
Tra l’altro, questo implica che anche le attività lecite che dipendono dall’economia “criminale” sono a rischio. Quanto maggiore la quota di Pil criminale, tanto più fragile è l’economia “lecita” del paese. Volendo usare una metodologia di ponderazione presa a prestito dai modelli di risk management delle banche, l’economia “lecita” dovrebbe avere un peso del 100 per cento nel Pil, la stima dell’economia “sommersa” un peso inferiore al 100 per cento, a testimonianza della difficoltà di farla emergere. La stima dell’economia criminale dovrebbe invece entrare nel calcolo del Pil con un peso negativo. Per capirne il motivo, facciamo un semplice esempio. Prendiamo il caso di una cosca mafiosa che impiega i soldi del traffico di droga nell’economia del proprio territorio acquistando auto di lusso, ristrutturando ville, pagando vitto e alloggio alle famiglie dei carcerati, e così via. Cosa succederebbe se un magistrato come Giovanni Falcone o Paolo Borsellino, arrestando la cupola della cosca, azzerasse l’afflusso di denaro? Il Pil del territorio si sgonfierebbe non solo per l’ammontare “criminale” ma anche per quello “lecito” che le attività criminali avrebbero reso possibile.
E veniamo all’arte divinatoria che devono applicare i poveri sventurati a cui tocca il compito impossibile di inventarsi una stima del valore aggiunto delle attività criminali. Prendiamo il caso della dimensione internazionale del traffico di droga. Alcune, come l’eroina e la cocaina, non sono prodotte in Italia, ma sono importate dall’America Latina o dall’Asia. Bisognerebbe dedurre dalla spesa dei consumatori domestici il costo della merce alla frontiera. Una parte della merce che entra in Italia viene poi esportata in altri paesi europei. Il margine nell’attività di import-export, che pare rappresenti una parte importante dei guadagni delle mafie italiane, in quale settore del Pil sarà inclusa? Per quanto assurdo possa sembrare, stando allo studio recente dell’inglese Office for National Statistics, il margine degli spacciatori nella rivendita di droga importata dall’estero dovrebbe essere classificato tra i proventi dell’industria farmaceutica.
E come fa l’Istat a calcolare quale parte del valore aggiunto creato con il traffico di droga o la prostituzione rimane in Italia? Se i soldi spesi dai consumatori italiani, in droga o prostitute, vengono spediti all’estero per sfuggire ai controlli della polizia e della magistratura italiana, questi non dovrebbero entrare nel Pil italiano se non per la parte relativa al sostentamento della “rete di distribuzione” e dell’apparato “militare” in loco. Sarebbe poi curioso capire come l’Istat aggiornerà le stime del Pil in base alle operazioni di polizia e all’azione della magistratura. In teoria, l’Istituto di statistica dovrebbe poi mettere in correlazione il livello dell’attività criminale in Italia con l’attività legislativa in materia (“svuota carceri”, “Severino”, “41bis”, per esempio) o con fenomeni come l’imporsi di nuove droghe e trend di consumo.
L’inclusione dell’economia criminale o di parti di essa all’interno del Pil avrebbe quindi un senso “economico” solo se l’Europa avesse intenzione di legalizzare quel tipo di attività. Poiché non è così rappresenta solo una fonte di errori statistici incommensurabili.
E, quel che è peggio, rappresenta il frutto di una interpretazione “ideologica”, spesso errata anche dal punto di vista scientifico, del concetto di “domanda di mercato” e “comune accordo tra le parti” per discriminare tra le attività criminali che fanno parte del Pil e quelle escluse.(3)
TRAVISATI I PRINCIPI DELL’ECONOMIA DI MERCATO
 
L’accettabilità sociale dell’economia di mercato si basa sulla libertà degli individui di acconsentire a una determinata transazione a un determinato prezzo . Gli individui non devono subire coercizioni, se no non è più un’economia di mercato. Si può parlare di “comune accordo” tra un drogato e uno spacciatore? Come si può considerare “libero scambio” quello tra un uomo e una prostituta, se questa è stata costretta con le sevizie e la violenza a fare una scelta di vita così degradante?
E volendo ragionare per assurdo, perché escludere il “pizzo”, la “mazzetta” o l’ usura dalla definizione di libero scambio? Qualcuno potrebbe considerarle forme primitive ma efficaci di offerta di servizi di sicurezza, di consulenza e di peer-to-peer lending. Per non parlare della massima espressione della libertà individuale: la speculazione edilizia sul territorio del demanio, dove più che il “comune accordo” vale il principio del “silenzio- assenso”.
Un’ultima domanda per Eurostat (e Istat): quando considereremo Pil anche la “libera compravendita” di organi e lo scambio di materiale pedopornografico?
 
(1)Eurostat (1996): “European System of Accounts 1995”, Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities; Eurostat (2013): “European System of Accounts 2010” , Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities.

(2)Un assaggio divertente si può trovare in Abramsky J., Drew S. (2014), “Changes to National Accounts: Inclusion of Illegal Drugs and Prostitution in the UK National Accounts”, Office for National Statistics.

(3) Eurostat (1996), section 1.13 stabilisce che devono essere incluse nel calcolo del Pil le transazioni illegali nelle quali le controparti sono consenzienti.
 
Nel 1989 inizia il suo percorso lavorativo nel mercato valutario come spot trader per il Banco Lariano. Dal ’91 per la Banque San Paolo di Parigi come trader su lira e Franco francese. Dal ‘92 presso il Banco Lariano di Milano spot trader su tutte le valute SME. Dal ’95 per Swiss Bank Corporation capo cambista – Lugano, Ginevra, Londra.

In questi anni, oltre alla specializzazione sul mercato dello spot come market maker ha sviluppato conoscenze del mercato dei derivati come trader di posizionamento per l’Istituto (Opzioni vanilla ed esotiche), nonché conoscenza diretta delle valute legate ai paesi emergenti (carry trades).

Dal 2009 ad oggi, trader indipendente nel mercato valutario fondatore del sito www.saveforex.it, community di traders con cui condivide quotidianamente in tempo reale la sua operatività forex attraverso una chat e un webinar live. Ha partecipato settimanalmente e partecipa tutt’ora a trasmissioni televisive come esperto del mercato dei cambi e dal 2014 è Presidente di APRIMEF, associazione che tutela i piccoli operatori e risparmiatori del settore finanziario, ed è intervenuto più volte nel dibattito politico per sostenere i risparmiatori contro tobin tax e contro l’aumento delle rendite finanziarie

Dal ’99 è rientrato in Italia come Libero professionista in qualità di Consulente Finanziario e patrimoniale – Presidente e socio fondatore di una società broker in forex

 

 


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