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L’arma migliore dell’Isis? Il Fiscal Compact. (di Marcello Bussi)

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Massimo Mucchetti, senatore del Pd e giornalista, è stato il primo a chiedersi, in un articolo pubblicato sul Huffington Post, che conseguenze avrà sui conti pubblici dell’Italia la guerra contro lo Stato Islamico. È evidente a tutti che si dovranno aumentare più del previsto le spese militari e per la sicurezza (vedere alla voce Giubileo). La conclusione di Mucchetti è che «se la Francia e l’Europa sono in guerra, i vincoli di finanza pubblica del Patto di Stabilità perdono il loro già scarso senso». Incredibilmente, l’affermazione è stata accolta da una valanga di commenti negativi in calce all’articolo. Alcuni lettori hanno accusato Mucchetti di voler tornare alla stagione allegra degli sprechi di Stato sfruttando le tragedie altrui. Le reazioni da bar sport sono l’ennesima prova che troppa gente vive nel mondo virtuale. Perché delle due l’una: o questo dire siamo in guerra è pura retorica (ma i morti di Parigi sono veri) oppure qui si supera l’idiozia dell’oro alla Patria dei tempi del fascismo. Se si dovesse rispettare a tutti i costi il Patto di Stabilità, a ogni aumento della spesa militare dovrebbe corrispondere un equivalente taglio in altri settori della spesa pubblica. Finalmente si fa la spending review, diranno gli adoratori di Bruxelles. Ma se si va boots on the ground (ai profeti del rigore piace l’inglese), i risparmi in ossequio al Patto di stabilità costringeranno i medici ad amputare i nostri valorosi soldati senza anestesia. E se le poche dosi saranno invece riservate all’esercito, allora sarà penuria negli ospedali pubblici. Dove ormai, secondo i soloni del pareggio di bilancio, vanno solo gli extracomunitari. Che per ringraziare del trattamento ricevuto aderiranno all’Isis.

Marcello Bussi, MF 17 novembre 2015


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