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SPIEGHIAMO A RENZI LA DIVISIONE DEI POTERI (di C.A. Maugeri)

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Domenica 8 maggio, Matteo Renzi, ospite alla trasmissione Chetempochefa, ne ha sparato un’altra delle sue. Ai microfoni di di Fabio Fazio, ha detto “Cari giudici, buon lavoro. Fate il vostro lavoro, io faccio il mio: io devo fare le leggi, voi dovete applicarle”.

Non si sa se la sua dichiarazione sia stata rilasciata in veste di Presidente del Consiglio dei Ministri, o di Segretario del Partito Democratico, ma, in ogni caso, visto che nessuno pare abbia osato dire nulla durante la trasmissione, forse è bene fare un po’ di chiarezza.

Innanzitutto, su ruoli e competenze dei principali organi dello stato. In Italia, il “lavoro” di “fare le leggi” non spetta al Presidente del Consiglio. Lo dice la Costituzione (quella che gli ultimi governi stanno facendo di tutto per cambiare). L’articolo 95 recita: “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri”. Quindi il compito del Presidente del Consiglio non è “fare le leggi”.

Questo compito, sempre secondo la Costituzione, spetta al Parlamento. Lo afferma l’articolo 70: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Anzi i Padri Costituenti sono andati oltre. All’articolo 76 si legge: “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. In altri termini, il Governo “non fa le leggi” (se non in casi assolutamente eccezionali). 

Ma non basta. “Voi le dovete applicare”, ha detto il premier rivolto ai giudici. Secondo il Titolo IV della Costituzione, i giudici hanno il “potere giurisdizionale”, ossia non quello di “applicare” ma di verificare che le leggi siano state rispettate. In altre parole, compito della magistratura sarebbe giudicare i delitti o le controversie dei privati. Il fatto poi che, nel farlo, anche i giudici debbano rispettare le leggi è ovvio (in teoria, tutti dovrebbero farlo) ma il compito della magistratura non è esecutivo.

Il compito di “applicare le leggi”, secondo l’idea di stato che fu dei Padri Costituenti, spetta al governo: è l’ “esecutivo” (da qui il nome) che deve eseguire le decisioni pubbliche.

Quello che, in poche parole, è riuscito a fare il nuovo che avanza è stato stravolgere completamente i tre poteri fondamentali della Costituzione dello Stato con due sole frasi: ovvero il potere legislativo (“fare le leggi”, che spetta al Parlamento), il potere esecutivo (ovvero fare eseguire le leggi fatte dal Parlamento che spetta al Governo) e, ultimo ma non ultimo, il potere giudiziario (cioè valutare se le leggi fatte dal Parlamento e messe in atto dal Governo sono state rispettate).

La ripartizione dei poteri dello stato non fu dei Padri Costituenti, loro la adottarono e la scrissero nella forma che ritenevano la più utile per il paese in quel periodo di grandi cambiamenti (si era passati dalla monarchia alla repubblica ed era appena finita la Seconda Guerra Mondiale).

Fu Montesquieu, in un suo scritto del 1748 dal titolo “l’Esprit de Lois”, a teorizzare il principio della separazione dei poteri. Fu lui a ribadire che, in un sistema democratico, questi tre poteri dovevano restare divisi e indipendenti e che la sovrapposizione non è possibile in uno stato di diritto, uno stato appunto “democratico”.

Nel suo scritto il grande statista francese disse: “Allorché il potere legislativo è riunito al potere esecutivo, nella stessa persona o nello stesso corpo di magistrati, non esiste libertà: infatti, si può temere sempre che il monarca o il senato faccia leggi tiranniche, per eseguirle in modo tirannico.

Non c’è libertà neppure quando il potere di giudicare non è separato dal potere legislativo e dal potere esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e sulla libertà dei cittadini risulterebbe arbitrario: infatti il giudice sarebbe legislatore. Se esso fosse unito al potere esecutivo, il giudice avrebbe la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di notabili o di nobili o di popolo, esercitasse insieme questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le deliberazioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le contese tra privati…”. E ancora: “Se non vi fosse un monarca, e se il potere esecutivo fosse affidato a un certo numero di persone tratte dal corpo legislativo, non vi sarebbe più libertà, poiché i due poteri sarebbero uniti: le medesime persone avrebbero talvolta, e potrebbero sempre aver parte all’uno e all’altro”.

Sono passati quasi due secoli (e una Costituzione), ma, a quanto pare, non sono bastati a rendere chiari questi concetti.

C.Alessandro Mauceri

Tag

Matteo Renzi, Costituzione, Montesquieu, C.Alessandro Mauceri


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