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RITORNO AL FUTURO

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La campagna referendaria si avvia alle battute finali e gli epigoni del SI, che hanno cercato di giustificare la propria scelta con motivazioni a volte fantasiose ma, quel che è peggio, destituite di qualsiasi fondamento oggettivo, ora cercano di infondere negli elettori paura, sostenendo che la vittoria del NO significherebbe portare l’Italia indietro di almeno trent’anni (Renzi dixit).
Questo slogan, oltre ad essere destituito di qualsiasi giustificazione di carattere economico-sociale, è addirittura illogico.
Infatti, non si capisce perché mai lasciare immutata la Costituzione nella forma attuale ci possa condurre indietro.
Dunque, ipotizzando pure che sia vero il ritorno indietro di trent’anni, ai tempi della cosiddetta Prima Repubblica, dobbiamo chiederci come stesse l’Italia allora.
La società italiana era sicuramente più equa, l’indice di Gini, che misura la distribuzione della ricchezza di una nazione, era pari a 0,26, mentre oggi, purtroppo, è pari a 0,34, la qualcosa vale a dire che la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani e che in Italia c’è sempre più diseguaglianza.
Negli anni ‘80, quelli della Prima Repubblica, non c’era l’euro, né gli accordi di Maastricht, cionondimeno l’Italia era la quinta potenza economica mondiale.
Esisteva la scala mobile, tanto vituperata in tempi successivi, che sosteneva la domanda delle famiglie.
C’era anche l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e per licenziare ci doveva essere una giusta causa e l’onere della prova spettava al datore di lavoro.
L’inflazione era nel 1986 intorno al 5,8 % , cosa che oggi sarebbe considerata dai custodi dell’ortodossia economica europea vituperabilissima e biasimevole ma, guarda caso, la disoccupazione era al 7% e, nonostante Bettino Craxi e Giulio Andreotti, il rapporto debito pubblico/PIL era al 85% .
L’IVA era invece al 18%.
Dobbiamo concludere che forse non stavamo poi tanto male, al contrario di come ci vogliono far credere.
Allora si dava attuazione al modello economico contenuto nella Carta Costituzionale del 1948 in misura molto maggiore di quanto non lo sia oggi.
Oggi, a causa di tutte le riforme realizzate, sulle quali quella costituzionale metterebbe il suggello finale, l’Italia è al decimo posto tra le potenze mondiali, posizione che occupava bellamente nel lontano 1861, quando fu costituito lo stato italiano unitario.
Rispetto al 2008, nonostante il Jobs Act, la legge Fornero, la “buona scuola”, l’Italicum, l’abrogazione delle province e tutte le roboanti dichiarazioni del Capo del Governo, avvocato Matteo Renzi, l’Italia ha una disoccupazione complessiva del 13,4%, il PIL pro capite è diminuito del 10% e la produzione industriale del 25%.
La ripresa prodotta dai provvedimenti sopra menzionati comporterà per il 2016 un incremento del PIL dello 0,8 % (possiamo sicuramente affermare che la montagna non ha neanche partorito il “topolino” ma che è stata del tutto sterile).
Dalle mie parti, secondo l’antica saggezza popolare, si dice che “chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia, ma non sa quello che trova”.
Come è ormai evidente a tutti coloro che hanno un minimo di discernimento, discostarsi dal modello economico contenuto nella Costituzione del 1948 e che era stato attuato dall’immediato dopoguerra sino alla metà degli anni 80, sta conducendo alla rovina i più ed arricchendo i pochi.
Sarà per questo che i potentati economici europei, la Confindustria, Mario Draghi propendono per il SI?
La risposta è lapalissiana.
Conclusioni: voglia il Buon Dio che Renzi abbia ragione che se vincesse il NO l’Italia tornerebbe indietro di trent’anni, anzi se di quaranta sarebbe ancora meglio, per noi sarebbe un ritorno al futuro!!!
Raffaele SALOMONE MEGNAme


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