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Rapporto SVIMEZ: nel SUD Italia economia in tracollo – Tutti i dati

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In base a stime SVIMEZ, nel 2012 il PIL italiano dovrebbe far registrare una contrazione del 2,5%, quale risultato tra il -2,2% del Centro-Nord e il -3,5% del Sud.
A causare la contrazione dell’attività produttiva il forte calo dei consumi (-2,4% al Centro-Nord, che diventa – 3,8% al Sud) e il vero e proprio crollo degli investimenti: -5,7% al Centro-Nord, più del doppio al Sud, -13,5%, soprattutto nelle costruzioni (-15,5% al Sud).
Da segnalare, a testimonianza della gravità della crisi, che la forte battuta d’arresto viene dai consumi di beni (-5% al Centro-Nord, -5.5% al Sud).
Giù anche i redditi delle famiglie, con valori simili: -0,6% al Centro-Nord, -0,5% al Sud. Tengono le esportazioni: nel 2012, si prevede una crescita dell’1,7% al Sud e dell’1,9% al Centro-Nord, soprattutto verso i Paesi extra Ue.
Nel 2013 secondo le nostre stime il Pil nazionale è previsto a +0,1%, invertendo la tendenza recessiva dell’anno precedente. In questo contesto il PIL del Centro-Nord segna +0,3%, quello del Mezzogiorno -0,2%, riducendo significativamente il differenziale rispetto al 2012. Continua anche nel 2013 il crollo del consumi, che scendono al Sud più del doppio che nell’altra ripartizione: -1,6% contro -0,7%. Anche in questo caso restano decisamente negativi i consumi di beni (-2,9% al Sud a fronte di -0,1% al Centro-Nord). In risalita invece nel 2013 gli investimenti, molto tiepida al Sud (+0,1%), più sostenuta nell’altra ripartizione (+2,2%), con segni decisamente positivi riguardo alle costruzioni. Continuano poi a tenere le esportazioni, +2,1% al Centro-Nord, +1,8% al Sud, ancora una volta per effetto soprattutto degli scambi con i Paesi extra Ue.

slide Rapporto SVIMEZ: nel SUD Italia economia in tracollo   Tutti i dati 

SVIMEZ, SUD A RISCHIO DESERTIFICAZIONE INDUSTRIALE E SEGREGAZIONE OCCUPAZIONALE
La fotografia dell’economia del Mezzogiorno nel Rapporto SVIMEZ 2012

Un Mezzogiorno a rischio desertificazione industriale, dove i consumi non crescono da quattro anni, lavora ufficialmente meno di una giovane donna su quattro e si è a rischio segregazione occupazionale. Mentre un nuovo paradigma per il Sud dovrebbe essere capace di integrare sviluppo industriale, qualità ambientale, riqualificazione urbana e valorizzazione del patrimonio culturale.
Questa la fotografia che emerge dal Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno 2011 in presentazione a Roma mercoledì 26 settembre.
Pil e Mezzogiorno In base a valutazioni SVIMEZ nel 2011 il Pil è aumentato nel Mezzogiorno dello 0,1%, distante dal +0,6% del Centro-Nord.
Non va meglio nel medio periodo: negli ultimi dieci anni, dal 2001 al 2011, il Mezzogiorno è rimasto inchiodato allo 0%, rispetto al + 0,4% del Centro-Nord, a testimonianza del perdurante divario di sviluppo tra le due aree. Marche e Lazio sono state le regioni a crescere di più negli ultimi dieci anni, rispettivamente del +0,6% e del +1,1%, mentre fanalini di coda sono state Piemonte (0% medio annuo) e Umbria (0,1%).
In altri termini, in cinque anni, dal 2007 al 2012, il Pil del Mezzogiorno è crollato del 10%, tornando ai livelli di quindici anni fa, del 1997.
A livello regionale, l’area che nel 2011 ha trainato il Paese è stata il Nord-Est (+1%), seguita dal Nord-Ovest (+0,6%). Il Centro è stato fermo come il Sud a +0,1%. Più in particolare, la forbice oscilla tra il boom della Basilicata (+2%) e la flessione del Molise (-1,1%), che accusa particolarmente la crisi del tessile e dell’abbigliamento. Dopo la Basilicata, che si conquista la palma nazionale di regione virtuosa nella crescita, all’interno del Mezzogiorno, la crescita più alta spetta all’Abruzzo (+1,8%), che consolida e conferma l’incremento dell’anno precedente (+1,7%). Segni positivi anche in Sardegna (+0,9%) e Puglia (+0,5%). In calo invece la Calabria (-0,7%), la Campania (-0,6%), e la Sicilia (-0,2%).
Il crollo dei consumi – Nella crisi, i consumi anche alimentari delle famiglie meridionali sono stati duramente colpiti, arrivando a ridursi nel 2011 del 4,5%, a fronte di una sostanziale stazionarietà nelle regioni del Centro-Nord. Da quattro anni i consumi nel Mezzogiorno non crescono. Il loro livello risulta inferiore in termini reali di oltre 3 miliardi di euro rispetto al valore del 2000.
Il calo reale dei redditi delle famiglie, unito alla flessione dei consumi pubblici e alla perdurante incertezza sulle prospettive del mercato del lavoro, rischia di pregiudicare fortemente anche le prospettive di ripresa della domanda interna nel 2013. Pil per abitante e divari storici – In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2011 ha confermato lo stesso livello del 57,7% del valore del Centro Nord del 2010. In un decennio il recupero del gap è stato soltanto di un punto e mezzo percentuale, dal 56,1% al 57,7%.
Continuando così ci vorrebbero 400 anni per recuperare lo svantaggio che separa il Sud dal Nord.
In valori assoluti, a livello nazionale, il Pil è stato di 25.944 euro, risultante dalla media tra i 30.262 euro del Centro-Nord e i 17.645 del Mezzogiorno. Nel 2011 la regione più ricca è stata la Valle d’Aosta, con 32.602 euro, seguita da Lombardia (32.538), Trentino Alto Adige (32.288), Emilia Romagna (31.524 euro) e Lazio (30.884 euro). Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l’Abruzzo (21.980 euro). Seguono la Sardegna (20.080), il Molise (19.748), la Basilicata (18.639 euro), la Sicilia (17.671), la Puglia (17.102) e la Calabria (16.603). La regione più povera è la Campania, con 16.448 euro. Il divario tra la regione più ricca e la più povera è stato nel 2011 di oltre 16mila euro: in altri termini, un valdostano ha prodotto nel 2011 oltre 16mila euro in più di un campano.

IL DESERTO INDUSTRIALE DEL SUD
Il rischio reale è la scomparsa di interi comparti dell’industria italiana nel Sud. Negli ultimo quattro anni, dal 2007 al 2011, l’industria al Sud ha perso 147mila unità (-15,5%), il triplo del Centro-Nord (-5,5%). Giù al Sud anche gli investimenti fissi lordi, -4,9% nel 2011, e -1,3% del resto del Paese.
Lo scenario è quindi quello di una profonda e continua de-industrializzazione, perché le imprese al Sud non riescono a mettere in pratica strategie di internazionalizzazione e delocalizzazione di fasi produttive tali accrescere la competitività del sistema. Situazione ancora più difficile in presenza di un costo del lavoro al Sud decisamente più alto dei competitors europei e asiatici.
In relazione alla competitività del Sud in Europa, secondo una simulazione SVIMEZ contenuta nel Rapporto, un lavoratore rumeno conviene rispetto al meridionale perché pur essendo meno produttivo costa decisamente molto meno. Un lavoratore meridionale nel  2008, insomma, è costato circa 34.334 euro nel Sud, quanto quasi due polacchi (19.738 euro), sette rumeni (5.429) e quasi dieci bulgari (3.813), mentre il divario di produttività vede il lavoratore del Sud soltanto da 2 a 4 volte più produttivo del collega europeo.

EMERGENZA GIOVANI E DONNE: UNA SEGREGAZIONE OCCUPAZIONALE
Dopo un biennio di stagnazione, nel 2011 gli occupati in Italia sono stati 22 milioni 967mila unità, 95mila in più rispetto al 2010, pari allo 0,4% (+0,2% nel Mezzogiorno, + 0,5% nel Centro-Nord). Ma la vera e propria emergenza colpisce i giovani e le donne. In tre anni, dal 2008 al 2011, gli under 34 che hanno perso il lavoro al Sud sono stati 329mila.
Nel 2011 il tasso di occupazione in età 15-64 è stato del 44% nel Mezzogiorno e del 64% nel Centro-Nord. A livello regionale il tasso più alto si registra in Abruzzo (56,8%), il più basso in Campania, dove continua a lavorare meno del 40% della popolazione in età da lavoro. In valori assoluti, crescono gli occupati in Abruzzo (+13.300), Puglia (+11.600), Sardegna (+8.300), Calabria (+3.900) e Basilicata (+2.500). In calo invece in Molise (-1.100), Sicilia (-7.300) e Campania (-16.700).
Nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione giovanile per la classe 25-34 anni è giunto nel 2011 ad appena il 47,6%, pari cioè a meno di un giovane su due, a fronte del 75% del Centro-Nord, cioè di 3 impiegati su 4. Situazione drammatica per le giovani donne meridionali, ferme nel 2011, al 24%, pari a mano di una su quattro in età lavorativa, che spinge le stesse di fatto a una segregazione occupazionale rispetto sia ai maschi che alle altre donne italiane.

IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE REALE AL SUD E’ DEL 25%
Nel 2010 il tasso di disoccupazione registrato ufficialmente è stato del 13,6 % al Sud e del 6,3% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro. Nel Centro-Nord la perdita di posti di lavoro tende a trasformarsi quasi interamente in ricerca di nuovi posti di lavoro; nel Mezzogiorno solo in minima parte diventa effettivamente ricerca di nuova occupazione.
Rispetto all’anno precedente, i disoccupati sono aumentati al Sud (+2%, pari a 19.600 unità), con una crescita addirittura del 18% in Molise (1.900 disoccupati in più) e della Campania (+11,5%, pari a 29.800 nuovi disoccupati). Scendono invece al Centro-Nord di 14.200 unità, pari all’1,2%. In testa alla non invidiabile classifica, la Campania, con un tasso di disoccupazione del 15,5%, seguita dalla Sicilia (14,4%) e dalla Sardegna (13,5%).
Il tasso di disoccupazione ufficiale rileva però una realtà in parte alterata. La zona grigia del mercato del lavoro continua ad ampliarsi per effetto in particolare dei disoccupati impliciti, di coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l’indagine. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord supererebbe la soglia del 10% e al Sud raddoppierebbe, passando nel 2011 al 25,6%

LAVORO NERO: IRREGOLARI QUASI TRE MILIONI
Nel 2011 secondo stime SVIMEZ gli irregolari in Italia arrivano a 2 milioni 900mila unità., di cui 1 milione e 200mila al Sud. Se al Centro-Nord il lavoro nero interessa prevalentemente secondi lavori e stranieri non regolarizzati, al Sud vede invece protagonisti irregolari residenti. A livello di settore, nel 2011 al Sud è irregolare un lavoratore su 4 in agricoltura (25%), il 22% nelle costruzioni, il 14% nell’industria. A livello regionale in valori assoluti si stimano 296mila lavoratori in nero in Sicilia, 253mila in Campania, 227mila in Puglia, 185mila in Calabria, 131mila in Sardegna, 62mila in Abruzzo, 46mila in Basilicata e 23mila in Molise.

CONTINUA A TENERE L’OCCUPAZIONE AGRICOLA
Nel Sud cresce la domanda di lavoro in agricoltura (+2,7%), a fronte di un calo del 6% nel Centro-Nord. Se Sardegna e Sicilia aumentano gli occupati nel settore di oltre l’8%, la Campania perde il 6,7%.
In calo l’industria, che segna al Sud -2,3%. Se l’industria in senso stretto è in ripresa (+0,6%), sono le costruzioni a crollare del -6,2%.
La dinamica dell’occupazione industriale è abbastanza negativa in tutte le regioni del Sud, particolarmente in Campania (17.600 posti di lavoro in meno) e Sicilia (10.000 in meno). Fa eccezione l’Abruzzo, che vede invece una crescita di 11.000 posti di lavoro nel settore.
Tengono invece i servizi, +0,8%, ben più contenuto che nell’altra ripartizione (+0,7%). In valori assoluti, il Sud ha perso nel 2011 32mila unità nel settore industriale. Gli occupati in agricoltura sono cresciuti invece di 10.900 unità, a fronte della perdita di 27mila unità al Centro-Nord.

OLTRE UN MILIONE 350MILA EMIGRATI IN DIECI ANNI
Negli ultimi venti anni sono emigrati dal Sud circa 2,5 milioni di persone, oltre un meridionale su dieci residente al Sud nel 2010. Nel 2010 sono partiti del Mezzogiorno in direzione del Centro-Nord circa 109 mila abitanti. Riguardo alla provenienza, in testa per partenze la Campania, con una partenza su tre (34.100); 23.900 provengono dalla Sicilia, 19.400 dalla Puglia, 14,400 dalla Calabria. In direzione opposta, da Nord a Sud, circa 67mila persone, che rientrano nei luoghi d’origine, soprattutto Campania (17.400), Sicilia (16.400) e Puglia (11.500).
La regione più attrattiva per il Mezzogiorno resta la Lombardia, che ha accolto nel 2010 in media quasi un migrante su quattro, seguita dall’Emilia Romagna. In Abruzzo, Molise e Campania la prima regione di destinazione resta il Lazio.
In dieci anni, dal 2000 al 2010, oltre 1 milione e 350mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. A livello locale, le perdite più forti si sono registrate a Napoli (-115mila), Palermo (-20mila), Bari (-16mila) e Catania (-11mila). Colpiti anche Torre del Greco (-20mila), Nola (-12mila), Taranto (-14mila) e Aversa (-11.500). Ad attrarre meridionali soprattutto Roma (+73mila), Milano (+57mila), Bologna (+24mila), Parma (+14mila), Modena (+15.700), Reggio Emilia (+13mila), Bergamo (+11mila).

NEL 2011 SEIMILA EMIGRATI PRECARI IN PIU’
Nel 2011 i pendolari di lungo raggio da Sud a Nord sono stati quasi 140mila, seimila in più rispetto al 2010. Interessante notare che a questo aumento del 4,3% corrisponde una crescita del 40% dell’occupazione meridionale. In altre parole, mantenendo la residenza a Sud ma lavorando al Centro-Nord, questi occupati falsano la realtà del lavoro nell’area.
Dei 140mila pendolari meridionali, oltre 130mila sono andati a lavorare al Centro-Nord, i restanti sono partiti per l’estero. Anche qui a fare pendolari con l’estero sono i settentrionali, circa l’89% dei pendolari totali nel 2011.
I pendolari di lunga distanza sono prevalentemente maschi, giovani, single o figli che vivono ancora in famiglia, dipendenti a termine e collaboratori, soprattutto impiegati full-time nel settore industriale. In totale, nel 2011, dei 140mila pendolari meridionali 39mila erano laureati.

SUD, LE MANOVRE PESANO 2,1% DI PIL, 0,8% AL CENTRO-NORD
Le ricette SVIMEZ:“Per evitare il rischio di derive greche servono investimenti, politica industriale e sostegno alla golden rule nel Patto di stabilità”
Le manovre pesano di più al Sud – In un generale contesto di crisi recessiva, le Quattro manovre effettuate nel 2010 e nel 2011 e approvate dal precedente e dall’attuale Governo hanno un impatto complessivo sul Pil più pesante nel Mezzogiorno rispetto al Centro Nord, secondo stime SVIMEZ effettuate su documenti ufficiali di finanza pubblica, compresa la spending revew dello scorso luglio.
L’effetto depressivo sul PIL sarebbe nel 2012 dell’1,1% a livello nazionale, ma assai differente a livello territoriale: 8 decimi di punto nelle regioni centro settentrionali e 2,1 punti percentuali in quelle meridionali. Da segnalare che a pesare sull’impatto delle manovre al Sud è per circa il 75% la caduta degli investimenti, responsabile di un calo del PIL di 1,7 punti percentuali sui complessivi 2,1 punti. Dalle elaborazioni SVIMEZ risulta il forte peso dei tagli operati dal precedente Governo al Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) sulla dinamica degli investimenti al Sud.

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