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Privato nella sanità: è un suicidio collettivo.

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Ieri ho avuto il piacere di conoscere a Roma alcuni esperti in materia sanitaria ed anche alcuni malati di gravi malattie neuro degenerative.

L’occasione mi ha consentito di apprezzare ancora una volta come il profitto sia materialmente incompatibile con ogni forma di buona sanità, poiché è per definizione il suo contrario. Le logiche capitalistiche non possono adattarsi minimante ad un settore in cui non dovrebbero essere gli incassi ad animare la ricerca e le strategie di cura.

La Costituzione impone alla Repubblica di tutelare il fondamentale diritto alla salute (art, 32 Cost.), eppure la Repubblica ha da tempo delegato, anche nell’indispendabile attività di ricerca e di creazione di farmaci, privati che agiscono secondo logiche esclusivamente aziendali.

Si può essere, nel 2016, così stupidi da non capire che se è una multinazionale a fare ricerca e creare farmaci, essa non avrà mai l’obiettivo di curare davvero i malati, ma solo quello di fare profitti? Si può essere così stupidi da non capire che il loro fine sarà sempre e comunque opposto alla creazione di farmaci poco costosi e magari è fficaci contro una patologia già dopo poche somministrazioni? Si può essere così stupidi da non capire che alcune tipologie di malati, ad esempio quelli affetti da malattie rare, non saranno mai curati perché il curarli, semplicemente, non rende?

Una multinazionale del farmaco fallirebbe per la nostra salute? Siamo seri perfavore! Le chiacchiere dei Ministri stomacano e ben sappiamo che, se non fossero ignoranti funzionali al potere economico, non occuperebbero certe poltrone.

La nostra Costituzione prevede e tutela l’iniziativa privata, ma la subordina sempre all’interesse pubblico, ricordando anche che vi sono settori in cui tale interesse può giustificare nazionalizzazioni anche totali (artt. 41 e 43 Cost.).

La sanità è uno dei settori in cui l’egoismo umano non può funzionare neppure da stimolo, essendo solo ed esclusivamente controproducente. 

La domanda che segue a questo ragionamento è anche la leva con cui le lobby ci hanno scippato del nostro diritto alla salute: ovvero dove prendiamo i soldi per una sanità pubblica efficiente? 

Ed ecco, come sempre, che tutto torna al solito elemento chiave del dibattito: uno Stato, se è tale, non ha alcun problema di cassa perché è per definizione un pagatore illimitato di ultima istanza laddove disponendo della propria sovranità, anche monetaria.

Uno Stato, se è tale, non può fallire e non ha limiti precostituiti di spesa. I limiti di uno Stato sono legati solo alla capacità produttiva dei singoli ed alle risorse naturali, possiamo dotarci di tutto ciò che siamo capaci di creare senza essere vincolati da astruse regole di contabilità inapplicabili alle Nazioni. Dotandoci delle meraviglie di cui siamo capaci non ipotechiamo il futuro ma lo miglioriamo.

Keynes in “autarchia economica” (1933) ci ricordava molto bene questo concetto:

“Invece di usare le loro moltiplicate riserve materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, gli uomini dell’ottocento costruirono dei sobborghi di catapecchie; ed erano d’opinione che fosse giusto ed opportuno di costruire delle catapecchie perché le catapecchie, alla prova dell’iniziativa privata, «rendevano», mentre la città delle meraviglie, pensavano, sarebbe stata una folle stravaganza che, per esprimerci nell’idioma imbecille della moda finanziaria, avrebbe «ipotecato il futuro», sebbene non si riesca a vedere, a meno che non si abbia la mente obnubilata da false analogie tratte da una inapplicabile contabilità, come la costruzione oggi di opere grandiose e magnifiche possa impoverire il futuro. Ancor oggi io spendo il mio tempo, – in parte vanamente, ma in parte anche, lo devo ammettere, con qualche successo, a convincere i miei compatrioti che la nazione nel suo insieme sarebbe senza dubbio più ricca se gli uomini e le macchine disoccupate fossero adoperate per costruire le case di cui si ha tanto bisogno, che non se essi sono mantenuti nell’ozio. Ma le menti di questa generazione sono così offuscate da calcoli sofisticati, che esse diffidano di conclusioni che dovrebbero essere ovvie, e questo ancora per la cieca fiducia che hanno in un sistema di contabilità finanziaria che mette in dubbio se un’operazione del genere «renderebbe». Noi dobbiamo restare poveri perché essere ricchi non « rende ». Noi dobbiamo vivere in tuguri, non perché non possiamo costruire dei palazzi, ma perché non ce li possiamo «permettere».

La stessa norma, tratta da un calcolo finanziario suicida, regola ogni passo della vita (omissis…).
 Se io oggi avessi il potere, mi metterei decisamente a dotare le nostre capitali di tutte le raffinatezze dell’arte e della civiltà, ognuna della più alta e perfetta qualità, di cui fossero individualmente capaci i cittadini, nella persuasione che potrei permettermi tutto quello che potessi creare, – e nella fiducia che il denaro così speso non solo sarebbe preferibile ad ogni sussidio di disoccupazione, ma renderebbe i sussidi di disoccupazione superflui”

Ma ovviamente oggi gli imbecilli occupano tutti i posti chiave della nostra politica, perché la loro presenza conviene ad un potere finanziario, che privo di controlli democratici, ha finito con il travolgere la società trasformandola nel contrario di ciò per cui i nostri padri fondatori avevano versato sangue.

Ignoranti funzionali nei posti chiave perché nessuno possa nemmeno arrivare a concepire ciò che ho scritto in questo articolo. Ma credo ancora nel risveglio collettivo, possiamo riprenderci la nostra democrazia.

Avv. Marco Mori, blog scenarieconomici, Alternativa per l’Italia, autore de “Il tramonto della democrazia – analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” – disponibile qui


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