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PONTI, SCENARI GEOPOLITICI E ANALISI DEI COSTI. (di Nino Galloni)

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SOMMARIO

  1. PERCHE’ “PRIMA E DOPO IL 1981”
  2. L’ATTUALE SCENARIO GEOPOLITICO
  3. SOSTENIBILITA’ DEI COSTI E PROJECT FINANCING (PF)
  4. IL REPERIMENTO DEI MEZZI FINANZIARI (RMF)
  5. PER UN’ANALISI COSTI BENEFICI (ACB)
  6. ACB E PARTECIPAZIONE PUBBLICA AL PROGETTO
  7. CONCLUSIONI SU TRE COSE BEN DIVERSE: PF, RMF, ACB

1) PERCHE’ PRIMA E DOPO IL 1981

Fino al 1981 – anno in cui si decise di non obbligare la Banca d’Italia a comperare i titoli di Stato a basso tasso di interesse invenduti per sottrarre alla classe politica lo strumento degli investimenti e della spesa pubblica – il principale ostacolo alla costruzione del Ponte sembrava di natura tecnica: molti ingegneri esprimevano perplessità sulla fattibilità e sulla sicurezza di tale opera, peraltro ubicata in zona fortemente sismica e dove ancora vivo era il ricordo del terribile terremoto di inizio secolo.

All’IRI che avrebbe guidato – oltre le sue partecipate – una cordata di imprese private italiane ed, eventualmente, straniere, poco importava l’aspetto finanziario se il quadro geopolitico si fosse dimostrato favorevole e risolti, almeno sulla carta, i cosiddetti problemi tecnici.

Nelle more della decisione che, peraltro, non assurse a priorità assoluta nemmeno quando i tempi di raggiungimento dell’estremo sud della Calabria furono ridotti da circa due giorni a poche ore grazie alle moderne autostrade, intervenne, appunto, l’enorme ostacolo della decisione presa all’inizio del 1981 e che avrebbe condizionato tutta la storia del Paese fino ad oggi.

Vale la pena di sottolineare come il 1981 faccia da spartiacque tra una dinamica di recupero delle condizioni del nostro Sud – avviata dopo gli anni ’50 dalla Cassa per il Mezzogiorno e le partecipazioni statali – ed un’altra di regresso negli indicatori del reddito e degli investimenti produttivi.

Negli anni ’70 dello scorso secolo, infatti, l’Italia aveva raggiunto una posizione importante a livello mondiale e più importante ancora nel Mediterraneo per ragioni non solo economicistiche, ma più propriamente politiche; e, se è vero che i Messinesi non risultavano particolarmente entusiasti dell’idea del Ponte, tuttavia se si fosse voluta assicurare continuità al travolgente sviluppo della posizione italiana e siciliana, paradossalmente anche verso il Nordeuropa, il valore delle carte pro Ponte sarebbe aumentato considerevolmente.

Non fu così perché il G7 di Tokyo pose fine agli accordi di Bretton Woods del 1944, vale a dire alla centralità della solidarietà tra Paesi alleati (ed al loro interno) scaricando esclusivamente su ciascuno di essi il peso della bilancia dei pagamenti; l’attacco all’Italia dopo il rapimento di  Moro fu sempre più evidente; la marginalizzazione del nostro Mezzogiorno accelerò; l’idea di Europa si trasformò da luogo delle possibili rinunce dei più forti onde consentire l’allargamento della casa comune per i meno forti (a prescindere da o non ostante le ragioni statunitensi in chiave antinazionalistica che si erano trovate all’origine di quel progetto subito dopo  la guerra) a luogo di esercizio dell’egoismo nordico in funzione di una visione del mercato non più imprescindibile strumento (però solo strumento) delle economie democratiche, ma supremo regolatore delle sorti dei popoli.

A causa di tale evoluzione, man mano che le problematiche tecniche del Ponte tendono a venir risolte, si determinano ostacoli finanziari notevoli, ma sormontabili (col ricorso alle logiche privatistiche) e impedimenti geopolitici formidabili legati agli interessi del movimento merci sul sistema dei porti Nordeuropei come Anversa, Amsterdam, Amburgo e Rotterdam.

 

2) L’ATTUALE SCENARIO GEOPOLITICO

La germanocentrica involuzione europea che stiamo sperimentando da parecchio impedisce formalmente, politicamente e finanziariamente di sognare la realizzazione del progetto a prescindere dalla soluzione delle maggiori problematiche tecniche (ormai avvenuta da tempo) e degli ostacoli di natura finanziaria, di cui ci si occuperà tra poco.

Il Ponte sullo Stretto rappresenta l’opera che un Paese anche più piccolo e meno importante dell’Italia avrebbe dovuto intraprendere e realizzare da tempo; ma si sa che noi siamo imprevedibili in tutto, nel bene e nel male, nelle soluzioni all’impossibile e nella mancata realizzazione del necessario ancorché a portata di mano.

Tuttavia, è solo una modificazione del quadro geopolitico europeo e mediterraneo a porre le basi dell’intrapresa, i cui aspetti tecnici e finanziari si riveleranno di non difficile soluzione.

Tale modificazione è solo teoricamente possibile all’interno di un autonomo ed auspicabile recupero della democrazia nell’Europa e nel mediterraneo; il che implicherebbe un radicale cambiamento di leadership in tutti i Paesi, attualmente ancora lontano.

Tuttavia, il conflitto dal quale dipende tutto il resto – quello tra strategie USA neocon e realistiche – appare lontano da una definizione e però non più appannaggio delle prime.

Così, ad esempio, il Presidente Obama ha esternato il proprio malessere nei confronti di Francia ed Inghilterra per la situazione libica dove sarebbe stato malauguratamente trascinato suo malgrado; al contrario, in Siria avrebbe resistito, grazie anche all’aiuto della Russia di Putin, a soluzioni avventurose che avrebbero aperto la strada ad un conflitto generale ancora più inauspicabile.

Poco tempo dopo lo stesso Obama ha fatto una sorta di retromarcia a testimoniare che, pur senza arrivare al disastro più grave e stanti i noti irrisolti problemi in giro per il mediterraneo ed medio oriente, tuttavia nulla di veramente definitivo è stato deciso.

Da una parte, c’è da chiedersi come mai si sia arrivati ad una possibile svolta nel progetto neocon di dominio assoluto sulle altre emergenti potenze (Russia in primis e Cina lì vicino).  Una risposta pratica deriverebbe dalla constatazione che, questa volta, i vertici militari, amministrativi e dei Servizi di intelligence di USA ed Israele abbiano considerato la temerarietà della soluzione bellica: Iran e soprattutto Russia dispongono di sistemi di interferenza elettronica in grado di ostacolare qualunque comunicazione interna alle forze NATO e missili capaci di triplicare la propria velocità e zigzagare evitando l’intercettazione e raggiungendo l’obiettivo.

D’altra parte, ciò potrebbe contribuire a ritenere, dunque, che possa andare avanti una strategia realistica di disimpegno degli USA da varie aree (segno del tramontato disegno di Ordine Mondiale – a guida USA – come recentemente testimoniato dallo stesso Henry Kissinger); il che significherebbe individuare potenze regionali di riferimento. Presumibilmente l’Italia per il Mediterraneo e l’Iran per il Medio Oriente.

Se tale prospettiva di pace e di sviluppo andasse avanti, all’Italia spetterebbe il compito di abbassare il baricentro dell’Europa verso il Mediterraneo e rafforzare collegamenti e scambi tra Est ed Ovest.

Tale prospettiva renderebbe urgenti e necessarissime le due principali infrastrutture mediterranee di collegamento di Capo Bon (Tunisia) con Mazara del Vallo e tra i due apici dello Stretto. In tale situazione opporsi al Ponte sarebbe ridicolo ed improponibile così come, oggi, appare curiosa l’osservazione del Presidente Renzi che le priorità siano il completamento della Salerno Reggio Calabria e l’alta velocità tra Napoli e Palermo: un Frecciarossa potrebbe arrivare comodamente a Palermo da Roma in cinque ore con il Ponte e le stesse attrezzature che caratterizzano il suo attuale percorso da Milano o Torino o Venezia a Roma o Napoli o Salerno. In un’altra mezzora si arriverebbe da Palermo a Trapani o diramazione Mazara del Vallo e, grazie al citato Tunnel o Ponte a cinque campate su Capo Bon in circa un’ulteriore oretta (il web è pieno di studi tecnici e finanziari per realizzare tali opere a cura dell’Enea e del movimento di LaRouche che ha realizzato, soprattutto in Germania, numerosi convegni sui temi delle grandi infrastrutture).

In ogni caso, l’abbassamento del baricentro europeo non toglierebbe importanza al Nord Europa, ma richiederebbe grandi modifiche di politica economica che minerebbero l’attuale asfittico e senza prospettive contesto dell’Unione. D’altra parte, il superamento del presente assetto europeo fa parte del pacchetto americano che vuole, principalmente, evitare il ritorno dei nazionalismi, ma non può nemmeno ammettere un’Europa germanocentrica che frena lo sviluppo di tutta l’area in nome di un teorema sbagliato; teorema che si basa sul permanente avanzo commerciale del Paese più forte e la riduzione della domanda interna per tutti.

Se dovesse riprendere quota l’impostazione neocon aggressiva (è la tesi di chi avversa la vittoria di Hillary Clinton alle prossime elezioni presidenziali USA), l’Italia potrebbe autonomamente cercare di abbassare il baricentro verso il Mediterraneo e rafforzare gli scambi con Russia e Cina solo rompendo la sua alleanza atlantica; ma, paradossalmente, proprio per questa pur estremistica minaccia, i neocon dovrebbero preoccuparsi di offrire l’alternativa, vale a dire un potenziamento del ruolo dell’Italia che si baserebbe su una ripresa della sua economia, impossibile senza una valorizzazione della Sicilia e del Mezzogiorno, senza un tornare ad essere un Nord del Sud invece di un subalterno Sud del Nord come è stato – con poche eccezioni da Mattei a Moro – negli ultimi 150 anni circa.

La Germania e la Francia possono insistere nelle loro attuali posizioni, ma a costo di far crescere le contraddizioni interne al sistema ed alle loro stesse realtà nazionali; ciò porterebbe a quel cambiamento di leadership cui si è accennato e che spingerebbe nella direzione di un ripristino delle condizioni di sviluppo e di cooperazione inclusiva a favore di tutto il Mediterraneo.

 

3) SOSTENIBILTA’ FINANZIARIA E PROJECT FINANCING (PF)

La definizione della percentuale di possibile coinvolgimento dei privati al progetto dipende dai ricavi che possono essere esclusivamente finanziari (emissione di obbligazioni da parte di un soggetto pubblico, ma fuori dal perimetro statale e, quindi, come si accennerà tra breve, senza incremento del Debito), di partecipazione al progetto stesso con emissione di titoli azionari trasformabili in biglietti di trasporto o viceversa, di mero superamento dei costi attualizzati da parte della vendita dei prodotti od altre utilità cui i privati medesimi possano essere interessati; in ogni caso questo esercizio presuppone l’esistenza di un pedaggio, ovviamente differenziato per mezzo di trasporto.

Siccome le ipotesi che qui si cerca di offrire si basano sul tasso di attualizzazione corrente (oggi compreso tra 0 e 1%), quindi, trascurabile – entro ragionevoli limiti – e, parimenti, a tariffe fisse (50 euro/vettura salvo residenti o abbonati e 100,00 euro/TIR, tralasciando per il momento i treni passeggeri e considerando un forfait coerente di un vagone merci=un TIR), si possono differenziare due scenari.

Nel primo esiste il collegamento tra Sicilia e Tunisia, conseguentemente si calcola, sommando le due direzioni di marcia, il passaggio di un’automobile ogni due secondi e di un TIR (o vagone merci equivalente) ogni tre; ne deriverebbe, trascurando il movimento treni passeggeri che, comunque è marginale salvo introdurre pesanti variazioni di calcolo dovute alla modificazione del mezzo di trasporto grazie all’alta velocità), un fatturato di circa 1,720 miliardi di euro/anno. Detratti i costi di gestione a regime pari a circa 100 milioni di euro/anno (1.000 addetti + ricambio materiali e manutenzione), si può traguardare il break even point in meno di 5 anni anche introducendo una variazione del tasso di attualizzazione da 0,5 (media tra 0 e 1) a 1,5.

Nel secondo non esiste un collegamento diverso dagli attuali tra Sicilia ed Africa; conseguentemente, il traffico si riduce attorno al 50% rendendo meno appetibile l’investimento per i privati.

Tuttavia, rimarrebbe aperta l’opzione obbligazionaria (un consorzio pubblico – Stato, Regione Sicilia e Regione Calabria, interessata allo sviluppo della sua dotazione portuale ed alla valorizzazione delle direttrici jonicorientate – riceverebbe conferimenti di patrimonio da mettere a garanzia e, possibilmente, da gestire economicamente per emettere obbligazioni all’1% netto redimibili o rinnovabili dopo 5 anni); e bisognerebbe aggiungere che, attorno al Ponte, in aggiunta, ruoterebbe una serie notevolissima di guadagni derivanti dalle visite dei crocieristi (oggi oltre 10 milioni nel solo Mediterraneo che potrebbero trovare approdo soprattutto a Gioia Tauro da dove partire per gite al Ponte ed alle Isole Eolie e la Calabria), dall’aumentato flusso turistico, dalla possibilità di vendere ed implementare la gastronomia e la ricettività locale fino alle bellissime e poco frequentate montagne della Sicilia orientale (per non allargarsi al resto).

Infine non andrebbe sottovalutata la possibilità, per il Consorzio pubblico o pubblico/privato o altro di emettere warrant (nel caso più favorevole addirittura per l’intero ammontare del valore dell’opera) trasformabili in azioni ovvero in biglietti ferroviari e stradali, in base alle prospettive di andamento dei pedaggi: ad esempio, comperando un milione di euro di pedaggio al 50% del prezzo atteso e considerando le due ipotesi precedenti – nonché 5 anni per la costruzione del Ponte stesso (che è un’enormità con le tecnologie attuali) – si avrebbe un risparmio del 5% sui 9 anni successivi al completamento o del 10% sui 4,5 anni: si considera una perdita dell’1% all’anno per il periodo della costruzione (vale a dire quanto l’investitore avrebbe guadagnato se avesse comperato altri titoli in grado di assicurare lo stesso rendimento detto).

 

4) IL REPERIMENTO DEI MEZZI FINANZIARI (RMF)

Cosa ben diversa, ovviamente, è la reperibilità concreta dei mezzi finanziari: essa non si basa solo sulla convenienza teorica del progetto (che sconta, comunque, margini di rischio probabilistici come un terremoto in corso d’opera ovvero lo scatenarsi di un conflitto armato nelle vicinanze), ma su modalità che interferiscono sulla valutazione del progetto stesso.

In altri termini, se la serietà o l’efficienza del Consorzio risultassero poco credibili agli occhi degli investitori, ciò potrebbe spingere troppo in alto i costi del finanziamento.

Si consideri, peraltro, che siamo in una fase “capitalistica” “ultrafinanziaria” vale a dire dove la liquidità è eccessiva, a buon mercato e facilmente disponibile per le operazioni non direttamente reali: di qui l’opportunità (o meno) di adeguarsi alla situazione emettendo titoli che assicurino moneta oggi (più corretto sarebbe dire danaro) contro promesse future.

Inoltre, i poteri pubblici – se non recuperano sovranità monetaria, nel qual caso emettendo denaro a corso legale – possono pur sempre emettere moneta fiduciaria a patto che la accettino poi in pagamento di tributi. In tal modo avrebbero la opportunità di redigere bilanci paralleli in questa nuova valuta, pagando così lavoratori e materiali; chi vende merci o prestazioni accetterebbe questa nuova valuta per pagarci le tasse o all’interno di un circuito convenzionato. Tutto ciò restringerebbe l’ambito degli acquisti e delle collaborazione, ma potrebbe risultare interessante comunque; soprattutto se ciò si accompagnasse con la volontà di affiancare alla moneta euro a corso legale qualcos’altro destinato a sostituirla nel tempo.

Infine, andrebbero considerati gli Stati che non hanno perso sovranità monetaria ed interessati all’opera (alle opere, sempre tenuto presente il collegamento solo ferroviario – tunnel – o a campate tra Tunisia e Sicilia): soprattutto Cina, Russia e Stati Uniti. A tal proposito potrebbe venir promossa una gara internazionale per il reperimento di mezzi finanziari in cambio di concessioni ed altro.

 

5) PER UN’ANALISI COSTI BENEFICI (ACB)

Le ACB disponibili si basano quasi tutte su una sottovalutazione dei costi ed una sottovalutazione ancora maggiore dei benefici. Inoltre vi appare piuttosto carente sia la quantificazione del saggio sociale di sconto, sia la valutazione dell’impatto dell’opera stessa sulla sua redditività economica, finanziaria e sociale.

Ad esempio, appare assurdo, in queste analisi, che si consideri l’utilizzazione del ponte (futuro) in base a quanto la sua assenza (passato) ha determinato una riduzione dei viaggiatori e delle merci sullo Stretto a favore di altre modalità.

Se la valutazione dei costi, con gli opportuni mark up può essere facilmente raggiunta manifestando una forchetta con un gradiente comunque inferiore al 50% (proprio per accettare livelli che porterebbero alla modifica dei benefici necessari (a portare “a pareggio” l’iniziativa); quella dei benefici può presentare una varianza di due o tre volte a seconda che si considerino o meno: l’impatto dell’opera stessa nel contesto nazionale o nel più ampio contesto mediterraneo; lo stimolo a numerose attività ricreative, turistiche, alberghiere ecc. sia a regime che prima; gli effetti cumulativi sui porti e le altre infrastrutture esistenti e/o potenziabili; le ricadute culturali sulla formazione delle risorse umane a tutti i livelli una volta che si sia creata la metropoli dello Stretto addirittura nella prospettiva di una macroregione Sicilia-Calabria.

Ciò complica lo sforzo per la valutazione dei benefici e richiede una loro più attenta e completa estensione ad aspetti che se, da una parte, possono spingere ad un incremento dei costi anche del 40/50%, tuttavia spingono in sui benefici almeno del doppio con il conseguente superamento dell’esame.

 

6) ACB E PARTECIPAZIONE PUBBLICA AL PROGETTO

Affrontati i temi della reperibilità dei fondi e della redditività dell’investimento nonché della accennata complessità della analisi costi benefici, resterebbe aperto un ultimo aspetto, in regime di scarsità (seppure arbitraria) dei mezzi di pagamento per l’economia reale: in altri termini, se lo Stato non crea la moneta, ma si approvvigiona di essa ad un costo – come qualsiasi soggetto privato perdendo le proprie caratteristiche – ovvero la ottiene coattivamente (qui si riappropria delle prerogative, chissà perché sembra tutto logico quando invece esso appare evidentemente contradditorio se non irrazionale) attraverso le tasse, si pone un antico dilemma.

L’euro tolto ai privati sarebbe stato speso meglio dagli stessi o l’effetto sociale, di lungo termine, ecc. voluto dallo Stato (dalla volontà politica) può essere superiore?

Allora, l’euro posseduto dal privato manifesta un’efficienza macroeconomica data dalla sua propensione al consumo che è inferiore ad 1, a cui va sottratto il risparmio non destinato ad attività produttive (come accade nei periodi di crisi) – diciamo tra 0,1 e o,2 – e aggiunto l’investimento reale che, in periodi di crisi valutiamo zero: quindi, l’euro lasciato al privato va moltiplicato per un coefficiente compreso tra 0,80 e 0,90.

Il coefficiente dell’euro pubblico viene calcolato dai grandi detrattori della spesa statale (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale) 1,5; dal 2,5 al 5 per i Keynesiani più sfegatati…diciamo che – mediamente – sarebbe opportuno restringere la forchetta al 2-3, in considerazione non degli “sprechi” tout court, ma di quelli che prendono la strada dell’esportazione (di eventuali capitali rinvenienti dalla spesa pubblica).

La ragione di tale maggiore “efficienza” della spesa pubblica rispetto a quella privata risiede nel fatto che l’euro speso dallo Stato, ad esempio nella pubblica istruzione, non solo serve a pagare gli insegnanti (che poi vanno a fare la spesa secondo la “regola” dello 0,80-0,90), ma anche il servizio che consente allo studente di acquisire un titolo (in realtà se il 40% dei giovani risulta disoccupato si deve aggiungere solo uno 0,60) ed il risparmio per la famiglia che – a prescindere da quanto paga per far studiare il figlio – comunque beneficia dell’euro e può destinarlo alla propria spesa: risultato +2,2 (0,8+0,6+0,8).

Se ne deduce che una qualsiasi azione pubblica – nei limiti delle cose ragionevoli – che determini un aumento delle risorse spese comporta un effetto sociale benefico pari almeno al doppio di quanto realizzato vendendo titoli (al netto degli interessi e di altri costi), recuperando evasione fiscale, aumentando le tasse in modo selettivo, vale a dire progressivamente rispetto al reddito in quanto la propensione al consumo cresce con una correlazione positiva all’andamento del reddito stesso (ovviamente la crescita della pressione fiscale va fatta ridurre quando il suo effetto sul gettito risulta negativo).

Con questo si passa alle conclusioni…

 

7) CONCLUSIONI SU TRE COSE BEN DIVERSE: PF, RMF, ACB

Un’attenta valutazione dei movimenti delle persone e delle merci, che tenga conto dell’evolversi della situazione mediterranea anche in funzione dell’esistenza dell’opera porta a risultati comunque sostenibili (a parità di tassi di interesse e di attualizzazione oggi particolarmente vicini allo zero).

Il reperimento dei mezzi finanziari, sia privati, data la eccesiva disponibilità di liquidi e l’impulso delle Banche Centrali a sostenere il traffico di titoli finanziari a qualunque condizione, sia pubblici (fiduciari per gli Stati che si sono privati della sovranità monetaria, valutari per gli altri) non può seriamente risultare revocata in dubbio.

L’ACB, infine, richiede una valutazione dei benefici che tenga conto non solo delle immediate ricadute positive (da sole non in grado di superare l’insieme dei costi), ma anche di quelle di natura culturale, turistica, sociale, ambientale.

Non esiste, pertanto, alcun impedimento di natura tecnica od economico-finanziaria alla costruzione del Ponte (seppure con sviluppi diversi in base agli scenari infrastrutturali e geopolitici ipotizzabili o auspicabili e a prescindere dai vari black swan a bassa probabilità); può esistere solo un impedimento politico interno o, più propriamente eterodiretto, come si è cercato di sostenere in precedenza.

Nino Galloni


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