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Per i Remain esiste solo Londra, così hanno perso. di Marcello Bussi

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Un risultato che i mercati non si aspettavano, probabilmente perché hanno confuso i loro desideri con la realtà. Eppure era abbastanza facile capire come sarebbe andata a finire. Non per niente George Soros una decina di giorni fa aveva annunciato che avrebbe puntato tutto sui ribassi dei mercati. Probabilmente il finanziere ultraottantenne, grande conoscitore del Regno Unito, aveva subodorato come sarebbe finita la partita del referendum.

D’altronde i sudditi di Sua Maestà hanno sempre considerato il Continente come altro da sé. Qualche osservatore superficiale aveva pensato che questo vecchio sentimento fosse stato ormai messo in soffitta dalla retorica della generazione Erasmus. Un ragionamento che in realtà si può applicare solo a Londra, la capitale vista con sempre maggiore ostilità dal resto dell’Inghilterra, che infatti ha votato in massa per il Leave. Oltre che a Londra il Remain ha vinto solo in Scozia e in Irlanda del Nord. La prima reclama da tempo l’indipendenza dal Regno Unito, sentimento che ha contagiato in misura inattesa anche l’Ulster. In Inghilterra invece il Leave ha stravinto.

Gli uomini della finanza vivono nella capitale e di solito non conoscono bene il resto dell’Inghilterra, spesso la considerano esotica come una vecchia colonia africana. E non hanno capito che nel grazioso Kent e nelle desolate lande post-industriali del Nord dimenticate dal governo centrale gli elettori guardano il mondo con occhi diversi. Le borse si erano cinicamente illuse che l’assassinio della deputata laburista Jo Cox, sostenitrice del Remain, potesse creare una reazione emotiva capace di spostare un numero rilevante di voti a favore dell’Ue.

E invece il Leave ha conquistato il 54,7% nella circoscrizione in cui era stata eletta, Batley and Spen, nel Nord dell’Inghilterra. In questa zona, a maggioranza laburista ed economicamente depressa, il successo dei Leave è stato superiore alle attese. Da qui si capisce perché il leader del Labour, Jeremy Corbyn, ha condotto una campagna referendaria svogliata; sapeva che in quell’area la maggioranza del suo elettorato era per il Leave. E così ha lasciato al sindaco di Londra Sadiq Khan il compito di guidare i sostenitori del Remain nell’ultimo dibattito televisivo. In quell’occasione Khan e il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon sono stati aggressivi, descrivendo scenari catastrofici in caso di uscita dall’Ue. I Remain sono quindi stati rappresentati da due persone considerate straniere dall’inglese medio.

Inoltre Khan è di origine pakistana e di fede musulmana, lo stereotipo del migrante che, per colpa delle lassiste politiche dell’Ue, si ammassa a Calais nella speranza di entrare nel paradiso britannico. Il leader dei Leave, il conservatore Boris Johnson, ha invece lanciato un messaggio ottimista, pigiando sul tasto dell’orgoglio e del recupero della sovranità nazionale, oppressa dall’anonima burocrazia di Bruxelles agli ordini di quella Germania che gli inglesi hanno sconfitto per ben due volte nelle guerre del secolo scorso. E gli elettori lo hanno premiato. Il colpo del ko lo ha però assestato la Regina Elisabetta II con la sua domanda: «Datemi tre buoni ragioni perché la Gran Bretagna debba rimanere in Europa», una vera e propria dichiarazione di euroscetticismo finita sui giornali alla vigilia del referendum. E molti acuti analisti si sono dimenticati che gli inglesi sono davvero monarchici.

Marcello Bussi, Milano Finanza, 26 giugno 2016


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