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OLTRE A SPERANZA QUANTE ALTRE FACCE DA C…? di Pietro De Sarlo

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Finalmente quei due o tre elettori che a Roma votarono Giachetti saranno finalmente tranquilli: Roberto Giachetti esiste sul serio. E tutto questo grazie al ‘culo’ dal sen fuggito. Anzi, meglio, al bronzo che, come direbbe una campana, suona meglio.

Ma non sarei qui a consumare le dita, la tastiera e il vostro tempo per parlare di questa lotta tra i due Robertini, autentici titani che, verosimilmente, non lasceranno una indelebile traccia nella storia. Anche se, visti i tempi, non si può mai dire! Anche perché di questa lotta ne parla già l’aspirante premio Pulitzer Giovanna Casadio dalle colonne nientepopodimeno che del numero odierno di La Repubblica.

Così sappiamo che il Giachetti rivolgendosi allo Speranza dice: “Roberto non te la prendere, da romanista e da romano puoi capire, dài …”. Ora, io mi domando e dico, non so se Speranza sia romanista ma romano no di sicuro! Ufficialmente è nato a Potenza e a Potenza ha consumato la sua carriera fino a diventare segretario del Partito Democratico lucano nel 2009. E per lunghi anni si è consumato nel ruolo come garante degli equilibri faticosamente raggiunti tra le mutevoli e varie anime del partito locale fino a consolidarsi reggendo in democristiano equilibrio l’altalenante prevalere di Bubbico, De Filippo e Pittella. E’ membro a pieno titolo della casta politica del PD lucano che ha ridotto, tra una indagine giudiziaria e un’altra, una delle terre più ricche al mondo di risorse naturali a una delle più povere. Finché, finalmente, un giorno Speranza ha avuto il bronzo di essere notato da Bersani, quello che additava la contorta e inefficace gestione dell’affaire petrolio in Lucania come un glorioso esempio per la Nazione intera, che lo portò fino alla carica di capogruppo PD alla camera. Insomma passi per Giachetti, da che ha perso le elezioni vaneggia spesso, ma l’aspirante Pulitzer dovrebbe saperle le origini e la storia di Speranza. Perché non la sciorina questa semplice verità ai lettori? Mah!

Non tutti sanno però che Roberto Speranza è in realtà un androide telecomandato prodotto nel 1979 in un esperimento di laboratorio, in uno scantinato delle Frattocchie, da D’Alema e Bersani, allora giovani promesse, con lo scopo di farsi sostituire, solo in pubblico, quando la loro immagine sarebbe stata logorata dagli errori commessi e dal passare del tempo. Appena creato però, il cervello dell’androide mostrò l’età apparente di un novantenne. Gli esperimenti furono abbandonati e il prototipo così realizzato prese il nome in codice di ‘Il Senescente’. Fu abbandonato in Lucania e affidato alle cure di una famiglia potentina di fidate tradizioni democristiane. Ripescato da Bersani, e lucidato da D’Alema di recente, però l’androide mostra notevoli difetti. Come risponde alla Pulitzer nella citata intervista il Senescente? “Amareggiato io? Perché non si è parlato del Jobs Act, non per altro.” (Eh, già cara mia, che ti credi?) Ad ogni domanda il Senescente risponde sempre con un trito luogo comune della sinistra o della destra ma sempre politically correct. Basta non fargli mai la domanda di approfondimento perché si confonde e si ripete.

Quindi se Giachetti dice “… presentai una mozione (n.d.r. per il Mattarellum) e loro (Speranza e Bersani n.d.r.) convinsero 70 colleghi a bocciarla … “ lui risponde: “quella (n.d.r. quella a favore del Mattarellum) era una mozione di propaganda … noi bersaniani abbiamo presentato una proposta di legge mattarellum 2.0” Eh, però! Che finezza di pensiero! Sveglio il ragazzo … ma che dice?
Insomma ogni tanto bisogna dargli una bottarella in testa, come ai vecchi televisori, poi si riprende.

Ora Speranza si candida alla segreteria del PD. La leggenda narra che la decisione sia stata sofferta e che sul punto ci sia stato un forte dissenso di D’Alema, che sarà pure antipatico, vendicativo e presuntuoso ma che ha ancora qualche neurone in giro nel cervello, e che dell’operazione proprio convinto del tutto non era e voleva cercare un altro candidato. Poi Bersani lo aveva preso in disparte e gli aveva detto: “… ti vorrai mica mettere un leone vero sulla moquette in salotto al posto del peluche? Siam mica matti? “. A quel punto D’Alema aveva fatto un mezzo sorriso, si era girato lentamente un po’ irrigidito dalla cervicale, se ne era andato e la vicenda era rientrata.

Ora però basta divagare il punto che voglio evidenziare e la domanda vera che vi pongo è: come la selezioniamo la classe dirigente qui in Italia? Passi per Giachetti, passi per Speranza ma il duello Pittella Taiani per la presidenza del parlamento europeo vi eccita? Insomma come li scegliamo e come li abbiamo scelti i nostri leader? Col bronzo?
P.S. La domanda vale per tutti i partiti. Basta sostituire i nomi … a piacere.

Pietro De Sarlo


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