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La nuova Guerra Fredda è quella fra Stati Uniti e Germania di Marcello Bussi

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Sarà combattuta a colpi di dazi e segnerà la fine della globalizzazione. E a Berlino cominciano a temere che al solito l’Italia possa cambiare alleato all’ultimo momento.

La Guerra Fredda non è più fra Stati Uniti e Russia, ma fra Washington e Berlino. Donald Trump considera l’Unione europea «soltanto un mezzo per raggiungere gli obiettivi della Germania». «Noi non interferiamo nella politica degli Stati Uniti e gli europei contano sul fatto che l’America non interferisca nella politica europea», ha ammonito l’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, nella sua prima visita a Washington dall’inizio della presidenza del magnate nuovaiorchese.

E il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, per attaccare lo sfidante della cancelliera Angela Merkel alle elezioni del 24 settembre, il socialdemocratico Martin Schulz, non ha trovato di meglio che paragonarlo a Trump.

Sulla stampa tedesca, poi, il clima è da caccia alle streghe. Ne è un buon esempio l’editoriale di Der Spiegel, una sparata contro Trump che si conclude così: «L’Europa deve diventare più forte e iniziare a pianificare le sue difese politiche ed economiche. Contro il pericoloso presidente degli Stati Uniti». Già sul finire della presidenza Obama i rapporti tra Washington e Berlino non erano più idilliaci. I più accorti avevano interpretato le multe miliardarie a Volkswagen e Deutsche Bank come un avvertimento all’alleato tedesco.

L’irrompere sulla scena di Trump ha precipitato la situazione. Nel mirino c’è l’enorme surplus commerciale della Germania. Washington vuole riequilibrarlo. E il modo più rapido per raggiungere lo scopo sono i dazi. Non c’è da stupirsi, visto che il nuovo inquilino della Casa Bianca ha fatto del protezionismo uno dei cavalli di battaglia della sua vincente campagna elettorale. Mercoledì 15 l’ufficio del rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America terrà un’udienza pubblica sull’ipotesi di mettere un dazio del 100% su una novantina di prodotti europei, principalmente del settore agricolo, in arrivo da Francia, Germania e Italia.
L’elenco è stato preparato lo scorso dicembre dal rappresentante del commercio uscente, Michael Froman, nominato da Barack Obama (a volte le cesure fra una presidenza e l’altra sono meno profonde di quanto si pensi). La disputa è più che ventennale, da quando l’Ue si è rifiutata di importare da oltreoceano la carne trattata con gli ormoni. Vale la pena ricordare che anche l’Italia vanta un surplus commerciale nei confronti degli Usa (28,4 miliardi di dollari nel 2016). E rischiano di finire nel mirino di Trump non solo vini e formaggi ma anche la Vespa, il mitico marchio della Piaggio .

Nei giorni scorsi Yves Mersch, esponente del Comitato esecutivo della Bce, ha ammonito che il protezionismo «crea solo perdenti» e «il dilagare del virus dell’isolazionismo» rischia di vanificare gli sforzi per rilanciare la crescita economica. Secondo Valentijn van Nieuwenhuijzen, capo strategist di NN Investment Partners, «il messaggio dalla Casa Bianca sembra chiaro: Trump è determinato a vincere in ogni momento e a qualunque costo e nella sua visione del mondo ciò significa che l’altra parte deve perdere. Situazioni win-win, che costituiscono l’essenza del libero scambio, sembrano incomprensibili per lui». Al momento, però, è difficile valutare i rischi di questo atteggiamento.

Per van Nieuwenhuijzen «ci vorrà molto tempo prima che vengano chiarite le divergenze fondamentali fra il presidente e i repubblicani nel Congresso su questioni come la Russia, la revoca dell’Obamacare, il libero scambio e la riforma fiscale. In un’ottica politica, tutti questi punti sono collegati tra loro. Se Trump agisse unilateralmente sul commercio, potrebbe mettersi contro i Repubblicani del Congresso rendendoli così meno disposti a collaborare su altre questioni. In un’ottica di mercato, invece, ciò significa che nei prossimi mesi gli investitori dovranno avere a che fare con un’incertezza notevole circa l’insieme delle misure politiche di Trump».

Con Obama la globalizzazione era una certezza che, almeno nel mondo occidentale, aveva ridotto ai minimi termini i rischi politici. Oggi Trump guida invece la rivincita dei sovranisti e tutto si fa più complicato. Per decidere un investimento bisogna considerare fattori ormai dimenticati. Il famoso «pilota automatico» evocato dal presidente della Bce, Mario Draghi rendeva tutto più facile. Adesso bastano un paio di dazi ben assestati per sconvolgere equilibri consolidati da decenni.

Anche in Europa i singoli Stati tornano ad avere un maggiore peso specifico. In Italia qualcuno non se ne è ancora accorto. A suonare la sveglia ci ha pensato il Financial Times, accusando l’Italia di essere troppo comprensiva nei confronti di Trump, rischiando così di «complicare gli sforzi dei leader europei di dar vita a una forte risposta comune» a Washington. Se la sfida è fra Stati Uniti e Germania, è naturale che tra gli alleati di quest’ultima cominci a sorgere il sospetto che Roma possa cambiare alleanze all’ultimo minuto, come è successo in passato.

Marcello Bussi, Milano Finanza 11 febbraio 2017


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