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FRECCE: IN BORSA O NEL SACCO? di Nino Galloni

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È prossima la decisione delle Ferrovie di quotare in borsa l’alta velocità.
Quotarsi in borsa significa non solo garantire un determinato rendimento agli azionisti, ma soprattutto dover dimostrare una performance stabile o in crescita.
Sotto il primo profilo potrebbe non esserci alcun problema: la redditività e le prospettive dei tav appaiono buone a medio e lungo termine. Un pareggio tra rendimento azionario e costo dei finanziamenti (bancari o obbligazionari) è logico faccia propendere le scelte verso una compressione dell’indebitamento.
Sotto il secondo profilo, invece, il mantenimento o la crescita del saggio di profitto (ROE, return on investment) è incompatibile con uno sviluppo continuo: per evitare le vendite del titolo ovvero le varie forme di speculazione al ribasso, ad un certo punto, l’azienda dovrà tagliare le linee meno redditizie, il personale, i programmi di investimento più ambiziosi.
Le Ferrovie dello Stato non hanno alcun bisogno di quotarsi in borsa, invece potrebbero accedere – grazie al loro consistente cash flow – alle forme alternative di finanza che stanno affermandosi e crescendo in tutto il mondo: si sta parlando di piattaforme alternative cui anche le pubbliche amministrazioni – con i loro residui attivi attualmente poco gestiti e le loro prospettive di entrate – possono far leva per sopperire alle crescenti esigenze di liquidi senza indebitarsi ancora con banche e possessori di moneta.
Non si parla di alternativa al pieno ripristino della sovranità monetaria, ma della gestione di un periodo di transizione tra l’attuale difficoltà del sistema ad affrontare la situazione ed un prossimo futuro, incerto, difficile, ma migliore del presente.

Nino Galloni


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