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Europa

Brexit, considerazioni e scenari: intervista al professor Mario Seccareccia (pezzo dal sito CSEPI)

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Ancora un pezzo magistrale proveniente dal centro studi CSEPI degli amici di Roma.

Il mio pensiero, per quanto poco possa contare, è che la Brexit e’ quella cosa per la quale ai tedeschi gli inglesi, con la loro idea di vera Democrazia, fanno sempre girar le balle e, immancabilmente, saltare i piani!

Buona abbeveramento alla fonte della saggezza!

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A seguito del Brexit, sia tra i grandi media sia tra importanti politici e opinionisti politici, sono emerse delle analisi del voto piuttosto simili: si va da “i vecchi che rubano il futuro ai giovani” a “gli ignoranti che votano di pancia”.
Per queste ragioni alcuni “dotti osservatori” hanno tuonato contro la democrazia, contro i referendum popolari in merito a questioni ritenute “troppo tecniche per essere comprese”, e in generale contro il popolo (in particolare la parte meno scolarizzata e più povera) descritto come un ammasso di razzisti, populisti, conservatori ecc..
In merio, abbiamo posto delle domande al professor Mario Seccareccia* docente di economia presso il Dipartimento di Economia, Università di Ottawa.

1) Secondo lei, politicamente, qual è il messaggio che esce fuori dalle urne del referendum inglese?

1) Il messaggio del Brexit dimostra che la globalizzazione neo-liberale può essere contestata e forse sconfitta, qualora i movimenti popolari siano in grado di far convergere il loro risentimento verso un obiettivo comune. Non si è trattato tanto di un conflitto intergenerazionale nel Regno Unito, oppure di un vis-à-vis  tra le “masse ignoranti xenofobe” e l’élite politica illuminata, con la maggioranza di queste élite britanniche (sia conservatori, sia laburisti) che sono a favore della permanenza nella UE.

Seccareccia1In effetti, i tradizionali parlamentari di sinistra del partito laburista erano in larga misura a favore del “remain”, come è stato lo stesso Jeremy Corbyn, ma con una certa ambiguità di fondo da parte sua, consapevole del fatto che la base del suo partito fosse invece a favore del “leave”. Perciò alcune delle lotte e delle divisioni all’interno dell’ala parlamentare del partito laburista non si sono risolte in quanto la maggior parte dei suoi membri è, nello stesso tempo, a favore di Corbyn, così come a favore del “leave”, di modo che c’è stato poco spazio per i bleristi.

Dunque, sono convinto che questo voto misuri più che altro la profondità del malessere che si è diffuso nella società britannica, con il 99% della base che sta sopportando l’onere della politica economica conservatrice, e sta ora dicendo che la globalizzazione neo-liberista deve essere fermata a tutti i costi. Il successo del favore che ha incontrato il Brexit è sorprendente perché ha riunito vari interessi divergenti sia a sinistra che a destra nell’ambito dello spettro politico britannico preso nel suo insieme. E’ vero che alcuni demagoghi di destra, come Nigel Farage e Boris Johnson, hanno assunto importanti ruoli di leadership durante la campagna referendaria, ma il massiccio sostegno da parte della classe operaia in Inghilterra non è stata semplicemente un riflesso di qualche reazione xenofoba.

Il voto ha rappresentato piuttosto un profondo rifiuto della globalizzazione neo-liberista che è stata al centro del progetto europeo nel corso dell’ultima metà del secolo scorso. Si può capire tale risultato, ad esempio, grazie alla presa di posizione assunta dai sindacati inglesi, che restano la spina dorsale del partito laburista, e che si oppongono al “remain” blairista. La politica britannica è certamente in uno stato di confusione, fatto che potrà condurre forse a qualche importante riposizionamento, soprattutto perché il voto del Brexit ha prodotto una quasi decapitazione della tradizionale classe dirigente.

Ma la vera minaccia del Brexit coinvolge il continente europeo. Se infatti il Brexit può avvenire in Gran Bretagna in modo pacifico, senza turbolenze significative ed eccessive perdite economiche, questo evento può aprire invece le porte alle varie forze più inquiete che stanno sfidando l’eurozona, la quale attualmente costringe i governi nazionali all’interno della camicia di forza neo-liberista. È su questo fronte che potrebbe giocarsi infine l’intero processo politico: con Bruxelles che, cercando di giocare questa carta difficile, renderà probabilmente più duri i suoi attacchi contro le forze della Brexit, incoraggiando ad esempio i nazionalisti scozzesi ad avvicinarsi alla UE.

E’ solo sconfiggendo e dividendo le forze a favore del “leave” che questa classe politica sarà ancora in grado di continuare a proteggere le strutture istituzionali che mantengono il continente in uno stato di austerità assoluta, e che stanno distruggendo il tessuto sociale della società europea. Il messaggio del Brexit, quindi, a mio avviso, appare più come una speranza, in quanto apre la possibilità ad eventuali referendum che potranno verificarsi anche negli altri paesi, dove si domanderà una maggiore responsabilità democratica, e metteranno in discussione l’attuale architettura dell’Unione.

2) Sul fronte economico, quali pericoli corre il Regno Unito a seguito della vittoria del Leave?

2) A partire dal Brexit, abbiamo già visto la svalutazione della sterlina di circa l’8% nei confronti del dollaro, che è stata causata dalla fuga di capitali in questa fase immediata di transizione. Ma il declino finora è stato molto meno catastrofico di quello che molti avevano annunciato prima del referendum (come ad esempio aveva dichiarato George Soros, secondo cui si avrebbe avuto il deprezzamento del 20% della sterlina rispetto al dollaro. Si guardi il seguente link:https://www.theguardian.com/commentisfree/2016/jun/20/brexit-crash-pound-living-standards-george-soros).

Con un deficit attuale delle partite correnti di circa il 7% del PIL, e considerando che, circa la metà del commercio della GB viene realizzato con l’eurozona, una forte svalutazione della sterlina può probabilmente migliorare la posizione competitiva del paese, il quale, sul medio periodo, potrebbe creare danni alle esportazioni nette che l’Europa realizza verso di essa. Al contrario, la GB potrebbe essere danneggiata sul lungo periodo, nel caso in cui Bruxelles giochi “la palla difficile” dei negoziati commerciali, limitando, viceversa, per legge (es: dogane), l’accesso delle esportazioni britanniche verso il continente.

Ma se ciò dovesse accadere, il risultato potrebbe essere problematico per entrambe le parti, in quanto le misure di ritorsione produrranno inevitabilmente un circolo vizioso che condurrà ad una contrazione del commercio estero nel suo insieme.
Fughe di capitali significative potrebbero rimettere in discussione la posizione di Londra come centro finanziario. Tuttavia, per quanto si parli di Francoforte come luogo sostitutivo della City, la posizione privilegiata di quest’ultima nei confronti della finanzia mondiale non cambierà a causa del Brexit, dal momento che continuerà ad essere il punto di scambio più importante dei flussi di capitali rispetto al resto del mondo, incluse Asia, Africa, Medio Oriente e Nord America.

E’ anche vero che gli investitori stranieri posseggono circa 1/4 del debito pubblico del Regno Unito. E tuttavia la fuga di alcuni di questi fondi difficilmente impedirebbe al governo britannico di perseguire le priorità dettate dalla spesa pubblica, in quanto, a differenza dei paesi della zona euro, il Regno Unito detiene ancora il monopolio sulla propria moneta sovrana, e dunque non può essere paralizzata come è accaduto, viceversa, alla Grecia dopo il suo referendum anti-austerity dello scorso anno.

In ogni caso, molti economisti che hanno commentato l’impatto economico del Brexit, stimano che gli effetti sono di gran lunga inferiori a quelli che aveva pronosticato l’allarmismo del “remain” (vederehttp://www.vox.com/2016/6/24/12024728/brexit-economy-economists-recession).

3) Il risultato del referendum britannico ha comportato nei primi giorni post voto oscillazioni negli indici di borsa abbastanza marcati nei paesi europei (Londra paradossalmente è quella che ne ha risentito meno). Per l’economia reale cosa comportano queste oscillazioni? Perché i media appaiono ossessionati dalle variazioni delle borse e parlano continuamente di “denaro bruciato” ogni qualvolta la borsa registra un rosso?

3) I mercati finanziari sono governati da timori suscitati dalla fazione a favore del “remain” e da coloro che sono rimasti legati alla leadership politica di Bruxelles. Perciò, i risparmi dei rentier in Gran Bretagna sono stati colpiti, così che milioni di sterline sono state cancellate dalle pensioni a causa delle perdite iniziali sul mercato azionario. Nonostante ciò, tali perdite sono state di molto inferiori rispetto a quelle subite dal popolo britannico a causa, per esempio, del crollo della Lehman Brothers durante la crisi finanziaria globale del 2008.

Ironia della sorte, i timori sembrano ricadere maggiormente sul calo dei prezzi delle azioni che investono il resto d’Europa piuttosto che su quelli che riguardano la Gran Bretagna, in quanto i mercati finanziari non hanno previsto che la fazione a favore del “leave” avrebbe vinto il referendum, così che il Brexit ha creato costernazione da parte dei mercati finanziari a Parigi, a Francoforte, e nelle altre principali città europee. Queste oscillazioni nei mercati dei capitali finanziari tuttavia tendono ad essere, oggi giorno, meno rilevanti nelle economie “reali”, e le paure maggiori dovrebbero perciò riguardare piuttosto le conseguenze commerciali di lungo periodo che legano l’Inghilterra al resto d’Europa, così come spingere a riflettere sulla necessità di un aumento nel complesso della domanda aggregata effettiva nei rispettivi paesi della UE attraverso idonee misure di politica fiscale.

Su quest’ultimo tema l’ “imperatore” d’Europa è nudo, ed è questo che dovrebbe spaventare di più i mercati finanziari dell’eurozona. Indipendentemente dal fatto, cioè, che il governo inglese procederà, o meno, a fare pieno uso di questi strumenti di politiche fiscali, la Gran Bretagna possiede chiaramente tutti gli strumenti idonei per affrontare un’eventuale recessione che colpirà soprattutto la spesa del settore privato.

Viceversa, nell’eurozona vi è una totale incapacità di condurre una simile politica macroeconomica, che non è in grado di realizzare né uno qualsiasi dei suoi paesi membri né, tanto meno, la UE nel suo insieme, dal momento che viene disciplinata dalle assurde norme restrittive dei trattati di Maastricht e di Lisbona. E’ questo ostacolo politico che genera i veri timori che si sono riversati, di riflesso, sui mercati finanziari europei. Ed è proprio su questo punto che, rispetto al resto d’Europa, è la Gran Bretagna a trovarsi sicuramente in condizioni più vantaggiose di fronte allo shock del Brexit.

4) Quale futuro attende l’Unione Europea, a seguito di questo storico evento (il Brexit)?

4) L’Europa è a un bivio. Si potrebbe cogliere l’occasione fornita dal risultato del Brexit per ridisegnare la sua architettura monetaria e finanziaria, o potrebbe resistere al cambiamento con il rischio però di precipitare ulteriormente in una stagnazione di lunghissimo periodo. Nelle attuali circostanze possono verificarsi dunque diversi scenari.

La soluzione più semplice sarebbe quella di riconoscere che la creazione di un’unione monetaria senza un’unione politica è stata chiaramente un errore, e che i paesi europei dovrebbero tornare allo status quo ante prima dell’adozione dell’euro: vale a dire ad un ritorno delle valute nazionali, accompagnato da un sistema di tassi di cambio fissi ma regolabili tra i paesi membri. Anche se, personalmente, non sono un sostenitore dei tassi di cambio fissi, nel contesto attuale sarebbe difficile infatti immaginare un tasso fluttuante puro come soluzione moderata di recessione dai trattati.

Io comunque non sono affatto ottimista sul fatto che una maggiore integrazione politica sarebbe possibile. Se dopo quasi due decenni di moneta unica i paesi della zona euro non sono riusciti a mettersi d’accordo neanche su una piena unione bancaria, sarebbe fantasioso immaginare un’unione politica con un governo centrale che abbia il potere di condurre una politica fiscale coordinata, che sia a favore di tutta l’eurozona.

Attualmente la soluzione politica più praticabile sembra rimanere invece quella che si può realizzare a livello nazionale. Il mio timore è che l’attuale élite politica infatti sia troppo sbilanciata sullo status quo per intraprendere i cambiamenti (progressivi) necessari, ma che dal voto del Brexit potrebbe emergere anche qualcosa di peggio. In questo momento sono presenti forti tendenze destroidi che spingono per i referendum nazionali, come ad esempio quello in Francia con Marine Le Pen. Tutto ciò che vogliono è semplicemente rinunciare alla zona euro in via definitiva; oppure, come nel caso dell’Italia, sono presenti forze locali che cercano opportunisticamente di abbattere la struttura nazionale esistente. Questa soluzione di destra potrebbe rivelarsi altrettanto cattiva quanto quella di difendere l’attuale status quo.

Sicuramente in Europa dovranno nascere forze sufficientemente illuminate per trovare un terreno più concertato che comporti una trasformazione meno dirompente. Comunque sia Il voto del Brexit ha dimostrato che l’attuale status quo è morto e che un nuovo progetto monetario ed economico della zona euro è diventato ormai una priorità assoluta.


*Mario Seccareccia è docente di economia presso Dipartimento di Economia, Università di Ottawa.
Autore: CSEPI

 

 

Questo il link al pezzo: http://csepi.it/index.php/8-economia/74-brexit-considerazioni-e-scenari-intervista-al-professor-mario-seccareccia


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