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Crisi

LA BOMBA FRANCESE CADE A BERLINO

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La Francia ha dichiarato solennemente che non si atterrà all’obbligo dell’eurozona di non superare il 3% di deficit, e ciò fino al 2017. Quest’anno il deficit sarà del 4,4% (praticamente il 50% in più del consentito) e nel 2015 del 4,3% (sempre un buon 43% più del consentito). Parigi rifiuta inoltre di adottare nuove misure di austerità. Naturalmente – come sempre – si prevede che successivamente tutto comincerà ad andar bene. Il futuro – visto dalle stanze del governo – è sempre “un’aurora dalle dita rosate”.

Fino ad ora una sorta di tacita convenzione ha fatto sì che riguardo ai grandi Paesi si parlasse di ripresa per la Spagna, di stagnazione per l’Italia e di “difficoltà” per la Francia. In realtà quest’ultima ha raggiunto un debito pubblico di duemila miliardi – il nostro gli è superiore soltanto dell’11% – corrispondente a oltre il 90% del pil;  le misure d’austerità hanno cominciato a produrre addirittura problemi di ordine pubblico, e infine si è avuto un drammatico calo di consensi dell’esecutivo e di François Hollande personalmente.

Sapevamo che la Francia era nei guai ma non ci aspettavamo che prendesse così risolutamente il toro per le corna. Infatti ha brutalmente messo Berlino di fronte al fatto compiuto. Probabilmente l’ha fatto in base al suo grande orgoglio nazionale e col coraggio che le viene dall’avere un peso specifico notevolmente più grande del nostro. L’Europa, magari con qualche problema borsistico, sopravvivrebbe senza alcuna difficoltà alla defezione della Grecia. Forse anche alla defezione di un grande Paese. Ma la Francia è, insieme alla Germania, l’elemento essenziale dell’Unione Europea. Non si può dimenticare che i principali fautori dell’Europa Unita sono stati, dopo la Seconda Guerra Mondiale, proprio i francesi e i tedeschi, perché volevano scongiurare, per i secoli avvenire, la possibilità di un conflitto fra di loro.

Ci si può chiedere come mai tutto ciò sia avvenuto proprio ora. A parte il fatto che non si può costantemente peggiorare senza che accada nulla, non si può non osservare che la crisi dell’Europa e dell’euro, invece di risolversi, sembra incancrenirsi. In secondo luogo essa ormai coinvolge i due partner più importanti dopo la Germania, cioè la Francia e l’Italia. In terzo luogo la Germania, che fino ad ora s’è intestardita ad esigere il rispetto dei patti sottoscritti, non ha tenuto conto del fatto che l’intero continente, col rallentamento della sua crescita, dimostra che la politica economica fin qui seguita non conduce da nessuna parte. Essa è stata favorevole alla Germania (anche se ormai meno di prima), ma non si può far pagare a tutti gli altri Paese un regolamento che favorisce soltanto uno di essi e qualche suo satellite economico.

Non è un caso che il ministro francese Sapin, invece di scusarsi, abbia detto che l’Unione europea “deve a sua volta assumersi le sue responsabilità, in tutte le sue componenti”. In particolare “i Paesi in surplus”: espressione che si legge “Germania”. In altri termini, la Francia s’è assunta la responsabilità di distruggere un sistema dannoso e di mettere tutti i partner dinanzi all’evidenza del problema; l’Unione Europea, e in particolare Berlino, devono ora trarne le conseguenze. Devono adattare le norme alla realtà, invece di inchiodare la realtà sul letto di Procuste delle regole sottoscritte.

Il presupposto di una moneta comune è che essa abbia più o meno lo stesso potere d’acquisto in tutti i Paesi che l’adottano. Se invece un Paese ha un deficit (e dunque, tendenzialmente, un’inflazione) del 4,5% e un altro del 3%, nel corso del tempo con quella moneta si comprerà parecchio di più nel secondo Paese (la Germania) che nel primo (la Francia). E dunque il flusso di merci andrà ancor di più dalla Germania alla Francia, danneggiando l’industria francese. Sembra evidente – sempre salvo errori – che provvedimenti del genere siano assurdi. È stato assurdo incatenare economicamente Paesi diversi da molti punti di vista ad una moneta unica, senza averli prima unificati politicamente, ed è assurdo pensare che si possano adottare politiche economiche differenti mantenendo la stessa moneta.

Infine rimane l’interrogativo riguardante le future prospettive e l’effetto che questi ultimi avvenimenti potrebbero avere sui mercati e sulle Borse. Nel dubbio, incrociamo le dita.

Gianni Pardo, [email protected]

1 ottobre 2014, ore 14,30


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